Portiamo un fiore a Utoya?

Caro Daniele e cara Elly,

quando sarete euro-deputati, facciamo una cosa: andiamo a portare un fiore ad Utoya.

Mi rivolgo prima di tutto a voi, perché a voi mi lega un rapporto di stima e di affetto: in questo anno abbiamo avuto tante occasioni per collaborare e ogni volta ho trovato in voi sensibilità e competenza.

L’Europa ha il suo “Meridiano”, il suo baricentro poetico: è la linea che unisce due piccole isole, Lampedusa e Utoya. Due luoghi che insieme evocano il senso dell’Europa che vogliamo e il mare di violenza e di ingiustizia che la lambisce e che rischia di inghiottirsela.

Sulla tragedia di Lampedusa in tanti e giustamente si sono soffermati: anche Papa Francesco si è recato in quel braccio di mare per ricordare a se stesso e al Mondo che l’Europa non può essere una fortezza irta, che condanna i poveri.

Utoya?

E’ un’altra piccola isola, sta vicino ad Oslo, in Norvegia: che non è Unione Europea, ma è Europa. Un altro spigolo, un’altra frangia, come quella che da Lampedusa arriva alla costa settentrionale dell’Africa, che non è Unione Europea, ma è Mediterraneo, casa comune.

Il 22 Luglio del 2011 un criminale, che non definirò “pazzo” e di cui non voglio fare il nome, ha massacrato 80 persone, 69 erano giovani, che stavano frequentando l’annuale campeggio organizzato dal partito laburista. Sono stati uccisi proprio perché giovani socialisti. Sono stati uccisi perché si preparavano a dare il proprio contributo ad una società più laica, più plurale, più libera. Insomma: più giusta e democratica. Sono stati uccisi da un rigurgito acido di quella violenta paura che sta seminando odio e discriminazione in giro per l’Europa. Di nuovo.

Un veleno che conosciamo e che in politica si traduce nell’arroccarsi di turgide identità, l’una contro l’altra, armate. Non sono soltanto le forze di estrema destra che si sono riorganizzate un po’ dovunque. Sono anche quelle forze, che a parole si dicono “europeiste”, ma che mentre lo dicono sprizzano livore da tutti i pori. La democrazia ha bisogno certamente di fermezza, ma impastata mitezza e ragionevolezza. L’autoritarismo culturale, lessicale persino, è l’anticamera del fascismo. Sempre.

Chi avrà la responsabilità di guidare l’Europa nei prossimi anni, avrà anche il compito di alimentare una nuova “religione civile”: un nucleo di segni e di significati che aiutino ciascuno a cogliere immediatamente l’orizzonte verso cui tende l’Europa. Come la Statua della Libertà davanti a NY ha annunciato a milioni di uomini e donne quale fosse la promessa che quel Paese faceva agli arrivanti. Come la festa del 1° Maggio rammenta ogni anno a tutti quale debba essere il senso del lavoro e quanto sia costato e costi inverarlo nella vita di ciascuno.

L’orizzonte dell’Europa è stabilito dall’orrore a cui l’Europa si oppone: la guerra.

Quella esplosa nei Balcani vent’anni fa e che ci ha visto impotenti a Srebrenica, quella che rischia di esplodere in Ucraina. Quella degli egoismi avidi, che si travestono di razzismo e discriminazione verso chiunque sia percepito come una minaccia al proprio quieto vivere.

Per tutto questo vi propongo di andare a portare un fiore ad Utoya, quando sarete parlamentari europei: per legare con i nostri gesti le due isole, per aiutare l’Europa a ritrovare se stessa, anche attraverso questo baricentro poetico, il suo Meridiano: Utoya-Lampedusa.

Facciamolo insieme, facciamolo in tanti, facciamolo perché è giusto. E anche perché è bello, perché abbiamo bisogno pure di commuoverci, per poi muoverci, resistendo alle sconfitte e alle amarezze.

Vi voglio bene,

W l’Europa!

Davide Mattiello