Sulle riflessioni di Scarpinato e Lupo

Le riflessioni di Scarpinato e Lupo raccolte su La Repubblica da Bolzoni, sollecitano qualche reazione.

Venerdì mattina ero all’Ucciardone per l’udienza che ha visto il confronto tra Vincenzo Agostino e Giovanni Aiello: sono per questo da annoverare tra coloro che sarebbero rimasti “bloccati in quel passato”, incapaci di rendersi conto dei risultati ottenuti negli anni ‘90 e incapaci di cogliere la profonda mutazione del fenomeno mafioso? Non credo proprio. Perché mantenere alta l’attenzione su un fatto come il duplice omicidio del 5 Agosto 1989, oltre a rispondere al sacrosanto bisogno di verità rispetto a quel terribile fatto di sangue, risponde anche ad un’altra esigenza grave e gravida di conseguenze: capire quanto di quel passato, non sia passato, ma sia diventato nuovo patto di potere, avvelenando il presente che viviamo e ipotecando il futuro. Proprio la “qualità” di ciò che non sappiamo di quegli anni induce questo tipo di esigenza, lasciando intendere che si è combattuta una guerra per fare la pace, che la guerra è stata generata e gestita da una vasta convergenza di interessi e che la pace ha mandato sconfitti alcuni e salvati altri. Ciò posto, guai a non avere coscienza che lo Stato, a cominciare dalla sentenza del 30 gennaio del 1992, poi per tutti gli anni ’90 e su, su, almeno fino all’arresto dei Lo Piccolo, in Sicilia ha colpito decisamente e forse mortalmente quella Cosa Nostra, che lo stesso Bolzoni in audizione in Commissione antimafia ha definito una “anomalia”. Quella forza non c’è più e questa è una vittoria dello Stato.

Le parole di Scarpinato d’altra parte aiutano a mettere a fuoco la sfida che abbiamo davanti, ancora una volta adoperando sapientemente la categoria del rapporto reale tra centri di potere e la categoria conseguente di sistema criminale. I rapporti tra centri di potere sono cambiati, è vero, tanto che giustamente fa notare Scarpinato dovrebbero mutare anche alcuni schemi interpretativi della mafia in se’ e del rapporto tra mafia e politica (oltre al concorso esterno e all’associazione mafiosa, io aggiungerei lo stesso voto di scambio), noi abbiamo la responsabilità di aggiornare l’analisi e di individuare le priorità conseguenti. Faccio alcuni esempi che derivano dal lavoro in Commissione Antimafia di questi anni.

– Il Trattato di cooperazione giudiziaria tra Italia ed Emirati, ormai pronto per l’esame del Consiglio dei Ministri (il pre-trattato venne firmato dal Ministro Orlando il 16 Settembre del 2015): non soltanto per porre fine alla latitanza di Amedeo Matacena, ma più generalmente per impedire che gli Emirati rimangano una sorta di zona franca per delinquenti italiani. La vicenda della latitanza di Matacena resta estremamente paradigmatica, almeno nella ipotesi d’accusa, di un vasto sistema di relazioni quanto meno border line (ma è proprio su questi “confini” che va cercato il nuovo-antico modo di essere mafia). Oltre a seguire lo sviluppo dell’inchiesta Breackfast e del grande lavoro della DDA di Reggio Calabria, sarebbe interessante comprendere a cosa abbiano portato le denunce mosse nel Giugno del 2014 al dott. Curcio della DNA, dall’allora capo centro AISE ad Abu Dhabi, dott. Costantini. Sarebbe poi interessante capire se esista un collegamento con i protagonisti della vicenda ANAS-Tecnis-Laudani.

– La latitanza di Messina Denaro: oltre a seguire lo sviluppo del giudizio di Appello sul sen. D’Alì, che potrà aiutare a comprendere qualcosa in più di quanto capitato al Prefetto Sodano e al capo della Squadra Mobile di Trapani, dott. Linares, bisognerà appronfire il senso delle parole della dott.ssa Principato sulla latitanza di Messina Denaro e fare attenzione che non si perda il filo del suo prezioso impegno. Bisognerà anche insistere perché il consigliere Giambalvo del Comune di Castelvetrano si dimetta, perché è inaccettabile che stia nelle Istituzioni un dichiarato tifoso di Messina Denaro.

– La riforma del Codice Antimafia che rafforza l’impianto della prevenzione patrimoniale e in generale la strategia di aggressione ai patrimoni mafiosi, va approvata quanto prima (la Camera ha votato il testo l’11 Novembre, 2015). Perché non perde mai di attualità il significato di un bene confiscato, che venga destinato a finalità sociali o istituzionali: resta una ferita al prestigio dei mafiosi.

– Rendere più trasparente il sistema di accoglienza primario, perché sulla pelle dei migranti non si consumino più speculazioni anche volte al foraggiamento di clientele elettorali. Aspettiamo dal 30 Giugno 2015 la relazione del Ministero dell’Interno su questo punto, sappiamo che la relazione è pronta ma non viene resa pubblica. Abbiamo purtroppo ragione di ritenere che la relazione sia inadeguata e quindi non utile a fare chiarezza.

– Attrarre nel perimetro del contrasto alla criminalità organizzata il fenomeno del caporalato, coerentemente a quanto già previsto dalla riforma del Codice Antimafia. Perché il meccanismo criminale che gestisce le migrazioni illegali prima e il controllo della manodopera poi è sempre più riassumibile nel dettato del 416 bis del CP.

– Riformare il sistema di protezione dedicato ai Testimoni di Giustizia, ancora troppo spesso confusi con i collaboratori e destinati a vivere una condizione frequentemente segnata da incertezze e frustrazioni, come ancora in questi giorni dimostra la situazione di quelli siciliani assunti nella PA o l’attentato subito da Tiberio Bentivoglio la scorsa notte. Migliorare le norme relative alle vittime di racket e usura. Introdurre la così detta “terza via” per mettere in salvo chi rompe con la propria famiglia mafiosa. La Commissione Antimafia ha depositato in Parlamento una proposta di legge che tiene conto di tutti questi nodi e che attende di essere incardinata nel lavoro delle Commissioni.

Sono soltanto esempi certo, ma credo ci aiuterebbero ad andare nella direzione più utile per un Paese liberato finalmente dalle mafie.

On. Davide Mattiello

Torino, 29 Febbraio 2016