Estorsioni: errore vietare riprese per Maniaci

L’attenzione pubblica non deve venire meno sui processi di mafia, tanto più sul processo che riguarda il giornalista Pino Maniaci. È incomprensibile la decisione presa ieri dal Tribunale di Palermo di vietare le riprese video e audio nel processo che vede imputato, tra gli altri, Pino Maniaci fondatore della emittente Telejato. Non si comprende come mai per il Presidente della seconda sezione penale, Benedetto Giaimo e per la Pm Dott.ssa Amelia Luise, sia diventato un processo che ‘non ha interesse sociale’. Ce lo ha eccome, per il ruolo addirittura internazionale che per anni ha avuto Telejato nel rappresentare un punto di riferimento nel contrasto sociale alla mafia. L’opinione pubblica deve essere nelle condizioni di capire se l’esperienza di Telejato è stata una truffa amara che ha coperto comportamenti gravi o se, viceversa, è stata una esperienza scomoda e coraggiosa che qualcuno sta cercando di seppellire, esasperando in chiave criminale aspetti senz’altro disdicevoli. Le sentenze sono il punto di arrivo del processo, ma l’esperienza ci insegna quanto sia importante poter seguire passo, passo lo svolgersi del processo. Per questo è meglio che ci sia massima trasparenza su questo dibattimento, come chiede con forza anche l’associazione Rita Atria.

Processo San Michele: il Governo nomini un Commissario per le vittime di usura

Ora il Governo nomini subito il Commissario per le vittime di racket e usura. Le condanne arrivate oggi nel processo San Michele, pur non essendo definitive, costituiscono una tappa importante nel percorso di giustizia che le Forze dell’Ordine e la Magistratura del territorio torinese stanno portando avanti ormai da oltre un decennio se si considera il momento in cui Varacalli, affiliato alla ‘ndrangheta, ha cominciato a parlare. Il processo San Michele è importante in particolare perché dimostra la capacità del nostro sistema investigativo e giudiziario di reagire tempestivamente per fermare sul nascere le infiltrazioni mafiose anche negli appalti delle grandi opere. Ma in questo processo ha svolto un ruolo rilevante l’architetto Mauro Esposito che con le sue denunce ha permesso agli inquirenti di avere un quadro preciso della situazione. L’architetto Esposito ha pagato un prezzo molto alto per la sua scelta sia sul piano professionale che personale, un prezzo che lo Stato e gli altri Enti coinvolti, penso soprattutto ad Inarcassa, devono riconoscere e risarcire. Il Governo intanto potrebbe dare un segnale di attenzione atteso ormai da Luglio: nominare il nuovo Commissario per le vittime di Racket e usura, la sede è vacante da quando è andato in pensione il prefetto Giuffrè. Non è più possibile aspettare: senza Commissario, le pratiche relative ai risarcimenti per chi smette di subire e denuncia, sono ferme. Questo ritardo rischia di aumentare le sofferenze e anche il senso di precarietà in chi si affida allo Stato e questo è un regalo alla criminalità organizzata che non si giustifica nemmeno a Natale!

Omicidio Caccia: processo è occasione irripetibile

Il processo che si apre a Milano per l’omicidio Caccia è una occasione forse irripetibile per guardare attraverso il buco stretto della serratura, l’arresto di uno dei presunti killer, una camera vasta e finora inviolata. Molto dipenderà da come sarà praticato il processo, da quali linee di azione si terranno e tutti avranno una parte di responsabilità: procura, corte e parti civili. E’ utile guardare all’omicidio Caccia attraverso la categoria della “convergenza” proposta dal prof Dalla Chiesa, che mai come in questo caso si fonde opportunamente con le parole di Falcone “si resta uccisi quando si entra in un gioco troppo grande”: l’omicidio del Procuratore Caccia infatti fa pensare alla saldatura di diversi interessi, quelli della ‘ndrangheta operante a Torino e desiderosa di accreditarsi come organizzazione egemone, quelli di un ambiente opaco e meschino forse abituato a rendite di posizione, fondate sulla corruzione e sulla connivenza e quelli grandi di chi già allora, come prima e come poi, trovava dell’utilità nel mantenere aperti rapporti di agibilità con la criminalità mafiosa, perché tornassero utili all’occorrenza. Siamo pur sempre nel 1983: da meno di un anno il Parlamento aveva approvato il 416 bis, dopo gli omicidi La Torre e Dalla Chiesa, che sarebbe servito al pool di Palermo e in particolare a Falcone per raccogliere le confessioni di Buscetta, collocandole finalmente nell’alveo giuridico del reato associativo. Quante “contro misure” a tutela del famigerato rapporto tra mafie e pezzi di Stato si attivarono fin dagli albori di quello che sarebbe diventato il maxi processo? Uccidere un magistrato a Torino e fare in modo che la responsabilità ricadesse sulle BR, poteva essere una di queste? La strage del rapido 904 è del dicembre 1984.

Mauro Rostagno: un passo in più verso la verità

Per Mauro Rostagno un passo in piu’ verso la verita’, ma quanti depistaggi e pregiudizi! Nella sessantatreesima udienza del processo che si celebra a Trapani a 26 anni dall’omicidio, gli esiti delle perizie sul Dna trovato sull’arma, confermerebbero le accuse nei confronti del mafioso Vito Mazzarra. In questi anni per colpevole negligenza o per complici volonta’, in tanti si sono esercitati nell’arte del depistaggio, insinuando che Mauro fosse stato ucciso per altre ragioni: donne, droga, lotte interne di potere. Quanto male hanno fatto costoro ai familiari di Mauro, cui mi unisco ancora una volta nella speranza che la verita’ prevalga definitivamente su pregiudizi e connivenze.

Critiche inopportune e pericolose

Inopportune e pericolose le critiche ai pm del processo sulla trattativa Stato-mafia. Appare come una spiacevole coincidenza la pioggia di critiche precipitata in queste ore sui pm di Palermo da parti differenti: la relazione della Dna, ripescata l’altro ieri benché fosse stata depositata a fine gennaio, le dichiarazioni di Arlacchi, quelle di Fiandaca e Lupo contenute nel libro in uscita proprio oggi. Senza entrare nel merito delle critiche mi chiedo: è opportuno farlo a dibattimento aperto? È già stata dimenticata la gravità delle minacce rivolte da Riina all’indirizzo dei pm di Palermo?
Non si considera il rischio in un contesto simile, che queste critiche suonino come una delegittimazione di chi sostiene l’accusa? Non si considera che i pm per arrivare al dibattimento sono passati dal vaglio rigoroso di un giudice terzo, il gup Morosini, che ha ritenuto robusto l’impianto accusatorio al punto da rinviare a giudizio? Insomma, a processo in corso c’è bisogno di rispetto, equilibrio e prudenza. Non di preconfezionare cassazioni, fuori dalle aule di tribunale