Mimì capatosta – la presentazione alla Camera

«Le case erano vuote e l’economia locale era paralizzata. Con un gruppo di amici, compagni di molte attività politiche e sociali, abbiamo fondato l’associazione “Città Futura” e formato una giunta per trasformare Riace nella città dell’accoglienza. Sognavamo una cittadina basata sugli stessi valori della cultura locale, incontaminata dal capitalismo e dal consumismo. Una cultura dell’ospitalità, che trova sempre il modo e lo spazio per accogliere dei forestieri.»

Mimmo Lucano

 

 

 

Ieri a Montecitorio si è svolto il convegno intitolato ‘La mafia non è più quella di una volta (ma resta quella di sempre)’, una riflessione, a 25 anni dalle stragi di Palermo, su come sia cambiato il fenomeno mafioso e sull’adeguatezza dell’attuale quadro normativo, dal 416 bis alla legge Anselmi.
Sono intervenuti il professor Isaia Sales, storico di mafia, il procuratore Giuseppe Lombardo, titolare delle maggiori inchieste in corso a Reggio Calabria contro la ‘ndrangheta, la giornalista di Repubblica e del Corriere della Calabria Alessia Candito, l’avvocato Fabio Repici, legale in alcuni dei maggiori processi di mafia in corso e il vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia Claudio Fava.

La mafia non è più quella di una volta (ma resta quella di sempre)

Ho organizzato
per il 22 Febbraio 2017 un seminario alla Camera dei Deputati (Sala Aldo
Moro, dalle 10 alle 13) e mi farebbe piacere che tu partecipassi.

A venticinque
anni dalle stragi di Palermo abbiamo il dovere di chiederci come sia cambiato
il fenomeno mafioso e quanto siano efficaci gli strumenti che abbiamo a
disposizione, consapevoli che in questi 30 anni sono stati conseguiti risultati
eccezionali, che hanno consentito al nostro Paese di debellare quasi
completamente la Cosa Nostra dei corleonesi e di assestare colpi duri alle
altre organizzazioni mafiose.

Abbiamo bisogno
in particolare di riconoscere e colpire “la forza intimidatrice del vincolo
associativo” anche in quelle consorterie segrete che fondano il proprio potere
sul ricatto e lo adoperano sistematicamente per interferire nel funzionamento
delle Istituzioni pubbliche. Anche quando queste consorterie non rappresentano
evoluzioni delle associazioni mafiose tradizionali, ma organizzazioni
“originarie ed originali” per evocare le parole che usò il Procuratore
Pignatone nel dicembre del 2014 per spiegarci “Mafia Capitale”. Parole che
verrebbe da utilizzare nuovamente pensando ad inchieste come “P4” “Labirinto” o
come quella che vede oggi indagati i fratelli Occhionero.

Ma abbiamo anche
il bisogno di rafforzare nella percezione
dei cittadini l’imparzialità di chi ricopre ruoli apicali nelle Pubbliche
Istituzioni, imparzialità che si traduce nella esclusiva lealtà alla Repubblica
e quindi alla Costituzione. Una esclusiva lealtà che sicuramente viene meno
qualora il soggetto risponda ad organizzazioni mafiose o comunque segrete e
dedite alla interferenza, ma che può
venire meno o venire meno anche soltanto nella percezione dei cittadini,
qualora il soggetto risponda ad organizzazioni
perfettamente legali e tuttavia fondate su un vincolo di obbedienza gerarchico
perticolarmente qualificato
.

Lavorare su
questo secondo bisogno non è meno importante che lavorare sul precedente,
perché il successo delle mafie e delle associazioni segrete sta anche nella
inaffidabilità, reale o percepita, delle Istituzioni Pubbliche. Detto al
contrario: tanto meglio vengono percepite le Istituzioni Pubbliche, tanto
meglio lavorano nel pieno rispetto delle regole democratiche, tanto meno si
avvertirà la tentazione di appoggiarsi ad altre “solidarietà” per ottenere il
soddisfacimento dei propri bisogni. Che poi è il concetto che il generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa espresse, dicendo: “Lo Stato dia come diritti, ciò che i
mafiosi danno come favori”.

Parole come “onorabilità”
e “prestigio” non sono piene di vana retorica, sono invece utili e concreti
richiami a quel modo di essere e di apparire di chi interpretata ruoli
istituzionali, così determinante nell’infondere fiducia nei cittadini. Soltanto
un folle non apprezzerebbe il ruolo della “fiducia” nella tenuta di una sociatà
fondata sul principio di legalità democratica.

Ciò posto le
questioni attorno a cui rifletteremo sono due:

– evoluzione del
fenomeno mafioso ed adeguatezza dell’attuale quadro normativo: tra 416 bis e
Legge Anselmi

– compatibilità
tra l’esercizio di funzioni pubbliche apicali e l’appartenenza a sodalizi
fondati su un “qualificato" vincolo di obbedienza

L’obiettivo è
quello di valutare la possibilità di proporre una “ristrutturazione” della Legge
Anselmi che la renda più utile a colpire le così dette “masso-mafie” (cit. Fantò-Scarpinato),
ma anche a tenere alla larga dalla PA chi possa considerarsi, in ragione di
“obbedienze” seppur legali, non sufficientemente libero e imparziale.

Ne discuteremo
con il prof. Isaia Sales, il
procuratore Giuseppe Lombardo, la
giornalista Alessia Candito, l’avv. Fabio Repici e il Vice presidente della
Commissione Parlamentare Antimafia on. Claudio
Fava
.

Sono stati
invitati:

la Presidente
della Camera Boldrini, il Ministro della Giustizia Orlando, il Ministro
dell’Interno Minniti, la Presidente della Commissione Antimafia Bindi, la
Presidente della Commissione Giustizia Ferranti.

Il sindaco gentile

Gli appalti, la camorra e un uomo onesto: la storia di Marcello Torre.
Presentazione alla Camera dei Deputati il 4 febbraio con Rosy Bindi, Luigi Ciotti,
Davide Mattiello, Marcello Ravveduto, Annamaria Torre

La storia di Marcello Torre verrà raccontata alla Camera dei Deputati il 4 febbraio prossimo, alle ore 13.00 presso la Sala Stampa, in occasione della presentazione del libro “Il sindaco gentile”. 

IL LIBRO. L’indifferenza ci rende passivi e quindi complici del male criminale. Questo è uno degli insegnamenti che la vita di Marcello Torre ha trasmesso fino a noi: lo sottolinea con forza don Luigi Ciotti, anima e presidente di Libera, al termine della prefazione al libro Il sindaco gentile. Gli appalti, la camorra e un uomo onesto. La storia di Marcello Torre, in libreria per Melampo Editore. Una biografia che ripercorre l’esperienza politica e umana del sindaco di Pagani (Salerno), ucciso dalla camorra l’11 dicembre 1980, rimasta finora sostanzialmente – e inspiegabilmente – inedita, ma ricostruita ora con puntualità estrema, da storico, qual è l’autore Marcello Ravveduto. E però con la capacità di allargare il fascio di luce del racconto a coprire un intero territorio e molte vicende d’interesse nazionale (l’affermarsi del potere camorristico, la tragedia del sisma dell’Irpinia, lo scontro sulla legge sul divorzio…).

I protagonisti sono infatti sempre almeno due. In primis Marcello Torre, “democristiano indipendente” – come scrive Nando dalla Chiesa –, inizialmente avvocato anche di camorristi, capace di difendere la legge sul divorzio in contrasto con la corrente fanfaniana, maggioritaria nel suo partito, e, da politico locale, di frapporsi alla brama di accaparrarsi da subito una posizione di rilievo nell’impegno di ricostruzione per il dopo terremoto (23 novembre 1980, 2.735 morti e 8.850 feriti). E poi una terra dove le sparatorie e i delitti, che insanguinano Pagani e la regione, segnano l’ascesa di Raffaele Cutolo, trasformandola in un “Far West”– 1527 omicidi in Campania tra il 1970 e i primi anni Ottanta –; una terra che dopo il sisma viene inondata di finanziamenti pubblici (50 mila miliardi di lire), creando un’emergenza infinita (nel 1990 ancora 28.500 sfollati) e alimentando l’appetito smodato dei boss, per aver ostacolato il quale viene decisa definitivamente la fine del “sindaco gentile”.

«La vita di Marcello Torre – ricorda ancora don Ciotti – viene troncata la mattina dell’11 dicembre 1980, dopo che ha passato giorni e notti tra la sua gente, a gestire i soccorsi, a distribuire cibo e coperte. La mafia uccide una persona troppo libera per essere manipolata o anche solo “indirizzata”». 

L’AUTORE. Marcello Ravveduto è docente di Public & Digital History presso l’Università di Salerno, componente del comitato scientifico della rivista “Narcomafie” e della Biblioteca digitale sulla camorra e sulla cultura della legalità presso l’Università Federico II di Napoli. Ha scritto tra gli altri Napoli… Serenata calibro 9. Storia e immagini della camorra tra cinema, sceneggiata e neomelodici (2007), Libero Grassi. Storia di un’eresia borghese (2012). Ha curato le antologie Strozzateci tutti (2010) e Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (2012). È inoltre coautore di Le strade della violenza (2006), del primo e del terzo volume de L’Atlante delle mafie (2012, 2015) e di Riformismo mancato. Società, consumi e politica nell’Italia del miracolo (2014).