La Repubblica d’Europa. In libreria

Un libro-manifesto per affermare
la necessità di ripensare il presente,
La Repubblica d’Europa.
Oltre gli Stati nazione,
di Isagor
arriva in libreria dal 20 febbraio

«Questo libro è dedicato a tutti coloro che sanno di non sapere, si impegnano per migliorare, propongono le proprie idee con modestia e tengono verbale delle proprie riunioni, perché non si sa mai, può anche capitare che con le buone idee e le migliori pratiche si cambi la Storia per davvero.»

Isagor è il nome di un consorzio che raccoglie otto voci.

Isagor è: Maria Chiara Giorda, docente universitaria a Roma 3; Luca Mariani, giornalista; Sara Hejazi, ricercatrice; Anna Mastromarino, docente universitaria, costituzionalista; Davide Mattiello, presidente Fondazione Benvenuti in Italia; Marco Omizzolo, sociologo, responsabile scientifico di In Migrazione, presidente di Tempi Moderni e ricercatore Eurispes; Leonardo Palmisano, scrittore e giornalista; Presidente della Coop editoriale Radici Future; Francesca Rispoli, Ufficio di Presidenza di Libera.

«C’è una parola che forse più di “collettivo” esprime il concetto di un sodalizio che voglia farsi carico dell’azione politica: “consorzio”. Il termine “consorzio” rimanda al comune destino che lega diversi individui, rimanda alla corresponsabilità e cioè all’interdipendenza di ciascuno da tutti gli altri.»

Da più parti si alza il grido che l’Europa sia finita, che l’esperimento nato dalla volontà di portare pace ed equilibrio economico al continente sia fallito sotto i colpi di burocrazia, immigrazione, finanza.

Su questa tesi si costruisce il consenso di cittadini arrabbiati, si propongono soluzioni estreme come l’uscita dall’euro, si parla di un ritorno al sovranismo nazionale, in un’ottica di chiusura al mondo che verrà.

Schiacciata da queste spinte e attaccata da più fronti, l’Europa deve trovare una nuova strada per garantire a se stessa e ai suoi cittadini uno spazio di diritti condivisi, di sviluppo sostenibile e di capacità di accoglienza dei nuovi flussi migratori del mondo. Uno spazio che sappia governare il proprio tempo e non subirlo.

«Abbiamo una convinzione. Gli europei possono costruire un futuro nel quale le guerre siano illegali, la terra viva e vegeta, i bambini liberi di crescere fuori dalla paura e dal bisogno. Tutti, non soltanto quelli che nascono ai piani alti della ziqqurat terribile che chiamiamo società globale. Per farlo è necessario trasformare l’Unione Europea in una Repubblica: la Repubblica d’Europa.

Una Repubblica unita e indivisibile, democratica, fondata sulla libertà e sulla responsabilità. Niente di meno.»

Gli autori di questo libro-manifesto affermano la necessità di ripensare in maniera radicale la forma che vogliamo dare all’Europa. Auspicano la nascita di una Repubblica d’Europa che, superando gli Stati nazionali, costituisca una nuova realtà politica, economica, culturale e strategica.

Come sarebbero il lavoro, la scuola, l’informazione, la sicurezza, la solidarietà, l’economia nella nuova Repubblica d’Europa? Otto autori (economisti, giuristi, giornalisti, antropologi, formatori, politici) affrontano i nodi principali per avvicinarci a questo unico futuro possibile.

Galleria degli autori. Clicca sull’immagine per ingrandirla

 

Informazioni:

Le parole di Marco Omizzolo, Presidente di In Migrazione e di Tempi Moderni

Sui temi di cui lei si occupa, come reputa il mandato del Parlamento degli ultimi cinque anni?

In generale il Parlamento italiano ha saputo, sebbene sulla fondamentale spinta di organizzazioni sociali (associazioni, sindacati, organizzazioni di base), affrontare alcuni dei temi sociali e lavorativi di cui mi occupo. In primis ciò riguarda il tema del contrasto allo sfruttamento lavorativo, al caporalato e alla tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo. Una nuova impostazione, evidente con la promulgazione della nuova legge contro il caporalato (lex 199/2016), sebbene prevalentemente securitaria, ha consentito una vera svolta in alcuni dei territori in cui il fenomeno è più organizzato, rodato, diffuso. Tra questi si citano in particolare il Sud Pontino e l’area garganica. Il Parlamento ha dimostrato anche un’apertura nei confronti di quanti si occupano da anni del tema accogliendo loro spunti di riflessione, esperienze di ricerca, analisi e suggerimenti anche normativi. Restano ancora molti temi, intimamente legati a quelli sopra menzionati, gravemente sottovalutati o per nulla affrontati. Una riforma, ad esempio, degli strumenti di welfare locale costituisce un elemento cardine per il contrasto alle varie forme di sfruttamento lavorativo. Si tratta di un impegno disatteso, sottovalutato e che richiederebbe, invece, uno sforzo di elaborazione concettuale e normativo urgente. Le stesse politiche del lavoro sono state spesso contraddittorie e, in alcuni casi, volte a cancellare, rimodulare in negativo, indebolire diritti affermati e riconosciuti soprattutto in capo ai lavoratori e lavoratrici. Il mancato impegno nella riforma e cancellazione invece di leggi evidentemente inefficienti e profondamente problematiche come la Bossi-Fini e la legge sulla cittadinanza, costituiscono un vulnus politico straordinario nell’azione parlamentare che ne mortifica lo slancio e l’impegno. Lo stesso Jobs Act è in sé una grave breccia nel complesso dei diritti formalmente riconosciuti a tutti i lavoratori, esponendoli, drammaticamente, ad ulteriori e, in alcuni casi, anche nuove forme di sfruttamento lavorativo, con riferimento in particolare ai lavoratori migranti impiegati in attività particolarmente difficili, poco prestigiose dal punto di vista sociale e poco retribuite (braccianti, lavoratori e lavoratrici di cura, autotrasportatori, lavoratori della logistica e dei servizi…). In definitiva si è trattato di un mandato in chiaro-scuro e a volte contraddittorio, senza alcun dubbio sensibile ai temi trattati ma incline ad un compromesso legato in primis al mantenimento degli equilibri di governo e poco in sintonia con le esigenze sociali e dunque reali del Paese. Restano però punti di indubbio valore, insieme alla norma sul caporalato, la riforma del codice antimafia, della legislazione sui testimoni di giustizia, l’impegno, in particolare della Commissione Antimafia, sul fronte di una lettura più aggiornata, anche in termini politici, del concetto stesso di mafia e della sua intima relazione con la corruzione, insieme a nuove declinazioni della stessa a partire dall’eccellente lavoro condotto sulle masso-mafie. Le politiche estere del Governi italiano, avallate direttamente o indirettamente dal parlamento, soprattutto in materia di migrazioni, costituiscono, a mio parere, una delle ragioni di maggiore criticità della legislatura appena trascorsa e di più grave compromissione del quadro normativo internazionale a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1953. Si configura una sorta di deriva securitaria che rischia di riformulare gli elementi di base dello Stato di diritto, peraltro negando la storia del Paese e dell’Unione europea. In definitiva mi pare di poter affermare che il mandato parlamentare ha espresso volontà contraddittorie, messo in evidenza limiti impliciti legati alle forze partitiche rappresentative, ottenuto in alcuni ambiti risultati di grande prestigio invece contraddetti da altre azioni parlamentari che in altri ambiti hanno agito in direzione contraria evidenziando approcci machisti e securitari.

Quale pensa che sia la norma più importante approvata in questi anni?

In chiave positiva penso ad almeno tre grandi risultati: la riforma del codice antimafia, la nuova legge sul caporalato e la riforma sui testimoni di giustizia. Queste norme sono tra loro intimamente legate e attese da molti anni dal Paese. Esse vanno nella direzione di una riforma del sistema riconoscendo la centralità del principio di giustizia sociale. Sebbene con alcuni impliciti limiti, esse sono l’eredità migliore dell’azione dell’ultima legislatura.

A questi aggiungerei la riforma, anch’essa attesa da anni, dei delitti ambientali, il voto di scambio e l’autoriciclaggio. Tutte norme che derivano dall’azione non solo parlamentare ma anche dalla spinta fondamentale, peraltro ascoltata dal parlamento, di associazioni, sindacati, organizzazioni del Terzo Settore, parenti di vittime di mafie e testimoni di giustizia. In questo caso si tratta di risultati importanti che contribuiranno a riformare il Paese nel prossimo futuro.

Quale la norma da approvare nei prossimi cinque?

Penso alla riformulazione della legge sulla cittadinanza che riconosca la legittima e piena rappresentanza ai migranti (e loro figli nati in territorio nazionale) residenti nel Paese, espressione centrale di modernità dell’Italia. A questo si deve aggiungere una riforma dei servizi sociali volti ad intercettare il disagio sociale insieme alle vittime di sfruttamento lavorativo, garantendolo loro percorsi di formazione volti all’emancipazione e autonomia individuale e collettiva. A questa aggiungerei una riforma del sistema giudiziario italiano con particolare riferimento ai tribunali del lavoro e penali, gravemente compromessi per l’esiguo numero di magistrati presenti e impegnati, di mezzi e strumenti a loro disposizione e per i tempi e le procedure necessarie per l’ottenimento di una giustizia riparativa.

Davide Mattiello per la prima volta è stato eletto alla Camera dei Deputati. Come valuta il suo operato?

Considero il contributo fornito da Davide Mattiello di grande valore. Molti degli obiettivi raggiunti e sopra descritti si devono alla sua tenacia, competenza e metodologia politica la quale ha sempre considerato la relazione con il territorio, come fondamentale per qualificare la proposta politica e spingerla nella direzione dell’approvazione. Ricordo per esempio la mia convocazione in Commissione Antimafia e le molte iniziative condotte insieme (la marcia contro il caporalato nel giorno di Pasquetta del 2017, dibattiti e convegni pubblici, incontri istituzionali, …), importanti passi verso azioni politiche in grado di condizionare il dibattito e migliorarlo ove possibile.

Per questa ragione, sebbene all’interno di uno schieramento governativo che, come specificato, presenta, dal mio punto di vista, profonde contraddizioni, il saldo finale della sua legislatura è assolutamente positivo. Ricordo il suo impegno, testato personalmente passo dopo posso, in favore della nuova legge sul caporalato, che ha avuto un’accelerazione politica e nei contenuti in seguito al suo impegno e relazione coi diversi territori. Davide Mattiello ha rappresentato un punto di riferimento per chi ha condotto queste battaglie ed esempio di un politico attento, in costante relazione, desideroso di portare nelle sedi opportune le migliori esperienze di analisi e lotta nei territori. Mai percepito come soggetto istituzionale pur non avendo mai abdicato a questo ruolo, ha saputo per mio conto interpretare la figura del politico impegnato, attento e determinato. A lui devo riconoscenza e stima, due doti che fanno di un politico un uomo vero.