Abbiamo bisogno di più scuola per battere le mafie

Assieme al contrasto delle infiltrazioni mafiose nell’economia, è la scuola il fronte più urgente. Non mi riferisco alle lezioni in presenza o a distanza, ma ai contenuti. Ritengo che i giovani debbano essere formati ad una società democratica e solidale, capace di svilupparsi rispettando la dignità di tutti secondo i valori della Costituzione. La pandemia sta lasciando indietro i ragazzi e le loro famiglie: stanno perdendo di pari passo potere di acquisto ed educativo. Se non si torna alla centralità educativa prevista dalla Carta, il rischio di regalare le giovani generazioni alle mafie è altissimo e questo dobbiamo impedirlo”.

Con queste parole si conclude una lunga intervista rilasciata da Cafiero del Raho a Massimiliano Coccia e pubblicata su L’Espresso di domenica 24 Gennaio.

Sono parole che dovrebbero ispirare l’azione di Governo molto di più di quanto non stia accadendo: sarebbe stato importante ascoltare un passaggio simile nei discorsi del presidente Conte alla Camera ed al Senato la scorsa settimana.

Sono parole illuminanti perché colgono il punto dirimente nell’irrisolto conflitto tra mafie e Repubblica: la forza delle mafie sta in un certo modo di stare al Mondo che purtroppo fa scuola, è di moda e rappresenta un serbatoio culturale velenoso ma seducente. Le mafie si sconfiggono facendo prevalere definitivamente un altro modo di stare al Mondo, quello effettivamente descritto dalla nostra Costituzione.

Una Costituzione che essendo anti-fascista è anti-mafiosa e questa non è una forzatura retorica perché fascismo e mafia hanno la stessa matrice culturale, quella suprematista e discriminatoria. Per fascisti e mafiosi gli esseri umani non sono tutti uguali in dignità, perché ci sono umani di serie A a cui tutto è dovuto e umani di serie B che devono ubbidire o morire.

La nostra Carta essendo antifascista si premura di rompere con il suprematismo discriminatorio proprio attraverso i primi quattro articoli ed in particolare con il secondo comma del terzo articolo che ordina alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che di fatto generano disuguaglianze ingiuste.

Quelle di Cafiero de Raho sono parole che provocano tanto quanto quelle celebri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che disse a Bocca “Lo Stato assicuri ai cittadini quei diritti che altrimenti verranno dati dalla mafia in forma di favori”, proprio perché pronunciate da persone ai vertici degli apparati repressivi dello Stato, persone da cui si sarebbero potute sentire ben altre conclusioni, persone che invece di chiedere la militarizzazione del territorio o affini, chiedono, parafrasando Falcone “Un esercito di insegnanti”.

Abbiamo bisogno di più scuola, di scuola sicura, di scuola aperta ed alternativa all’altrove e alla strada, ma anche di scuola in strada, di scuola bella al punto da diventare attrazione turistica. Che rivoluzione sarebbe, girando per città, non restare meravigliati di fronte alle vestigia del potere, ma di fronte ad una scuola pubblica!

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Ora cambiamo l’agenda di Governo

Ora cambiamo l’agenda di Governo, anche ri-piantando un paletto nel discorso pubblico e nell’agire politico: mafie e corruzione sono il primo fattore di diseguaglianza sociale in Italia, vanno sconfitte.

Alcune priorità dalle quali ripartire.

  • La gestione delle carceri: Pasquale Zagaria torna in carcere ad Opera dopo il pasticcio della gestione Covid, che lascia sul tavolo altre questioni aperte e complesse come la valorizzazione del personale che il carcere fa funzionare, la sicurezza di tutti, la possibilità reale di riscatto sociale per chi sconta una pena.

 

  • L’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati: sta per scadere il bando con il quale vengono messi a disposizione direttamente del Terzo Settore oltre 1000 immobili confiscati, ma mancano i soldi per sostenerne la gestione e poi mancano ancora alcuni fondamentali decreti attuativi. Che senso ha portare via le ricchezze ai mafiosi se poi diventano monumenti all’assenza dello Stato?

 

  • Sono sempre meno i cittadini italiani che denunciano ciò che subiscono o che vedono commettere, non si sentono abbastanza tutelati dallo Stato. Eppure abbiamo ricordato con commozione il sacrificio del giudice Livatino: senza “ULISSE” il primo Testimone di Giustizia italiano che immediatamente chiamò i carabinieri perchè testimone oculare dell’omicidio del Giudice, forse giustizia non l’avremmo nemmeno oggi. La riforma del sistema di protezione giace, sospesa, senza alcuni decreti attuativi. Intanto, ancora oggi, chi denuncia la corruzione dentro la Pubblica Amministrazione è condannato a “cambiare aria” anzichè godere dell’apprezzamento dei superiori.

 

  • Mentre nel Mondo le donne reclamano libertà ed uguaglianza, in Italia non riusciamo a fare una norma che tuteli quelle donne straordinarie che decidono, spesso avendo figli piccoli, di rompere il legame con la propria famiglia di appartenenza perchè mafiosa, cercando nello Stato un appiglio per rinascere.

 

  • Le mafie, liquide o trasparenti che dir si voglia, lasciano sempre e comunque una lunga fila di “mollichine di pane” seguendo le quali si possono ricomporre a livello internazionale le mappe del potere criminale: sono sempre i soldi. Ma serve un deciso salto di paradigma rispetto agli strumenti materiali ed immateriali a disposizione degli investigatori per dare la caccia a queste “mollichine”.

 

  • Il Procuratore Nazionale Cafiero de Raho, ricordando Giancarlo Siani sulle pagine di Repubblica, ha denunciato l’afasia della politica nel tenere presente sempre la priorità del contrasto a mafie e corruzione: ha ragione, perchè è la politica che ha la responsabilità di animare il discorso pubblico, contribuendo con ciò a fare cultura, ad orientare i punti di vista. Se, per esempio, nel discorso pubblico prevalesse la tesi: contro la crisi bisogna fare soldi presto e tanti, cancellando le prudenze del Codice degli Appalti, delle interdittive prefettizie, della prevenzione amministrativa, sarebbe un enorme regalo alla cultura della illegalità.

 

  • La memoria di Livatino, di Siani, di Rostagno può essere una grottesca occasione di retorica narcisistica, per strappare qualche like, oppure può diventare maestra di vita: dipende dalla politica, dalle scelte che fa, dalle persone che decide di mettere in campo. Quanto siano attuali la vicenda di Giancarlo Siani e di Mauro Rostagno, assassinati perchè giornalisti caparbi e liberi lo dimostrano altri due nomi: Jan Kuciak e Daphne Caruana Galizia. E se a qualcuno sembrassero nomi di gente straniera, ricordo: sono nostri concittadini, perchè cittadini della Unione Europea, che sarà bene trasformare in una Repubblica federale, prima che la febbre dei nazionalisti, serva alle mafie internazionali anche questa maledetta vittoria.

Investimenti tagliati o sprecati: la storia dei “mafiosi scarcerati” per il Corona-virus è soltanto l’ultima spia

Magistrati di Sorveglianza e Agenti della Penitenziaria come i Medici ed gli Infermieri, carceri e ospedali pagano lo stesso male: investimenti tagliati o sprecati. Così si rischia di correre ai ripari malamente e la storia dei “mafiosi scarcerati” per il Corona-virus è soltanto l’ultima spia. Mi spiego.

Abbiamo imparato a chiamare i medici “eroi”, soltanto per carità di patria, per non alimentare polemiche in un momento drammatico, ma è sempre più chiaro che si scrive “eroe” e si legge: condizioni insostenibili dovute alla inadeguatezza colpevole del sistema sanitario. Ora infuria la polemica sulle decisioni della Magistratura di Sorveglianza che manda ai domiciliari detenuti per reati di mafia che rischiano la vita in carcere perchè esposti al contagio, perchè vecchi, perchè malati (*). La pressione sulla Penitenziaria da un lato così come sulla Magistratura di sorveglianza dall’altro è altissima eppure non dovrebbe essere così e non dovrebbe venire meno mai l’equilibrio tra rigore della pena e dignità della persona (quando si sfonda questo equilibrio si chiama tortura alias trattamento inumano e degradante).

Che fare? Come non farsi schiacciare da questo dilemma che viene strumentalmente calavancato da personaggi come Salvini? Pretendendo investimenti pubblici adeguati per garantire un’altra funzione essenziale dello Stato: la Giustizia. Il confine tra condizioni sopportabili e condizioni non sopportabili del detenuto e del personale penitenziario non è una variabile indipendente, al contrario dipende molto dalle strutture, dalle risorse materiali e personali e questo è vero in particolare per l’alta sicurezza e il “41 bis“. La montagna di denaro mobilitata per far fronte all’emergenza servirà anche a risolvere questi problemi? Vedremo. Intanto fa bene il Ministro Bonafede ad annunciare un maggior coinvolgimento della DNA, delle DDA e della Commissione Antimafia nelle valutazioni riguardanti detenuti per mafia: è un modo per condividere il peso della responsabilità ed evitare che qualche servitore dello Stato si trovi sovra esposto.


(* questa questione non ha nulla a che fare con la concessione di premialità a mafiosi detenuti che non collaborano con la magistratura… )

Davide Mattiello
Consulente della Commissione parlamentare antimafia

Appunti di un consulente della Commissione parlamentare antimafia ai tempi del Covid-19

biografia

All’inizio sono stati Saviano, Caselli e Ciotti, poi altri autorevoli protagonisti del fronte anti mafia, i più recenti in ordine di tempo il Procuratore nazionale, Cafiero De Raho, e il capo della Polizia, Gabrielli, ad avvertire l’opinione pubblica che le mafie sono pronte, come sempre, ad approfittare della gestione emergenziale imposta dalla pandemia.

Provo a fare una lista (parziale!) di cose che dovremmo fare, prendendo sul serio questi fondati allarmi:
“le mafie sono pronte”, allora esistono! Ed esistono come fenomeno criminale speciale: permanente, capillare, capace di crossare tra economia criminale ed economia legale, capace di intercettare flussi di denaro pubblico e disagio sociale, capace di fondare il proprio potere sulla forza di intimidazione del vincolo associativo e sulla riserva di violenza. Allora bisogna smetterla subito di minare il così detto “doppio binario” che dota l’ordinamento italiano di strumenti specifici per contrastare un fenomeno simile (aiuta in tal senso anche una recente sentenza della Corte Costituzionale, la numero 57, relatore dott. Coraggio, che ribadisce la piena legittimità costituzionale delle interdittive antimafia).

Specializzazione e centralizzazione: i criteri fondanti della DNA e della DIA, pensate e fortemente volute da Falcone. C’è chi non ha mai digerito queste invenzioni, chi vorrebbe svuotarle di forza, se non abolirle eppure abbiamo tanto più bisogno ora di capacità di analisi “universale”, tempestiva, puntuale, digitale, che non patisca gelosie e tatticismi o più pericolosamente ancora superficialità ed inadeguatezze.

Carceri: non risolvere la questione del sovraffollamento, della qualità della vita all’interno degli istituti, non adeguare definitivamente le strutture alle esigenze del 41 bis, significa tradire la Costituzione, esporre gravemente il personale che nelle carceri lavora e offrire ai mafiosi pretesti per “fare la guerra e trattare la pace”.

Ribelli da sostenere: sono gli imprenditori che non cedono alla tentazione di affidarsi ai capitali mafiosi in tempi di crisi, sono i cittadini onesti che (magari lavorando dentro una PA) non si girano dall’altra parte e denunciano il malaffare, sono giovani e donne che intendono rompere con il clan ed iniziare una nuova vita, sono i soldati di mafia che girano le spalle all’organizzazione e scelgono la via della collaborazione. Gli strumenti normativi che colgono queste situazioni vanno tutti adeguati (talvolta inventati di sana pianta) e correttamente manutenuti (penso ai decreti attuativi della riforma dei Testimoni di Giustizia, penso a quelli attuativi della riforma del Codice Antimafia a sostegno della continuità occupazionale delle aziende sequestrate, penso alla così detta “terza via”… Penso agli strumenti a sostegno degli imprenditori che denunciano e che spesso si trasformano in un incubo). Altrimenti lo Stato non sarà credibile quando dirà: “Denunciate!”, quando dirà “Cambiate vita!”

Sanatoria subito per tutti i cittadini stranieri che vivono in condizione di irregolarità in Italia e che sono stati cacciati nell’invisibilità dai decreti voluti da Salvini: prima che il bisogno di braccia nelle nostre campagne saldi ancora di più criminalità e sfruttamento, lo Stato tenda una mano a questa umanità sul crinali e la tiri nel campo della legalità dove ci sono diritti e doveri per tutti. Nessun “padrone” può più esistere in una Repubblica fondata sul lavoro.

L’ho detto: sono appunti parziali, rimando alle riflessioni amare di Raffaele Cantone per l’ANAC e il ciclo degli appalti, rimando a quelle di Avviso Pubblico per il ruolo (oggi ancora più centrale!) dei Sindaci, rimando a quelle di LIBERA e a quelle della Rete dei Numeri Pari che saldano la questione della prevenzione/repressione criminale con quella ineludibile della giustizia sociale, della lotta alle diseguaglianze. Insomma, mentre il personale sanitario combatte e vince la battaglia contro la pandemia, il personale “anti-mafia” prepari una offensiva memorabile perchè questo 2020 non venga ricordato dagli storici come un maledetto periodo di nuova “accumulazione capitalista” delle mafie in Italia. Tra tutti, c’è almeno un uomo la cui memoria dovrebbe inchiodarci a questa responsabilità, era un Sindaco, gentile e caparbio si chiamava Marcello Torre (e chi non sa chi fosse, ne approfitti e lo scopra).

IL DIBATTITO PUBBLICO DOPO L’ULTIMA SENTENZA DELLA GRAN CAMERA DI STRASBURGO

La mia riflessione e quella di Gian Carlo Caselli, riprese da Libera Informazione, hanno sottolineato il rischio di fare pericolosi passi indietro, le pubblichiamo qui insieme ad una rassegna stampa ampia. Le Istituzioni europee farebbero meglio a capire con maggiore attenzione le ragioni che hanno spinto l’Italia a fare certe scelte nella lotta alla mafia, anche perché da tempo ormai la mafia non è più un problema soltanto italiano.

Leggi:

In Europa non sanno cos’è la mafia, l’articolo di Gian Carlo Caselli su liberainformazione

I gravi errori della CEDU, il mio articolo su liberainformazione

Ergastolo ostativo: la rassegna stampa

Con Carlo Palermo. Presentazione de “La Bestia”

Presentazione del libro: La Bestia

Dai misteri d’Italia ai poteri massonici che dirigono il nuovo ordine mondiale
Un libro di Carlo Palermo, l’ex magistrato scampato all’attentato mafioso del 2 aprile 1985

Giovedì 7 marzoalle ore 18,00la libreria Binaria di via Sestriere 34a Torino ospiterà Carlo Palermo, il magistrato che nell’aprile del 1985 si era miracolosamente salvato dall’attentato a mafioso di Pizzolungo, in provincia di Trapani. Nello scoppio della bomba  che avrebbe dovuto ucciderlo, erano morirono invece Barbara Rizzo e i suoi due figli, Salvatore e Giuseppe Asta.

Intervistato da Davide Mattiello, ex deputato e presidente della Fondazione Benvenuti in Italia, Palermo ripercorrerà le vicende di quegli anni: misteri irrisolti che caratterizzano ancora oggi la storia d’Italia e del Mondo.

Attraverso documenti ineditie basandosi sulle rivelazioni di alcune fonti interne a servizi segreti, Carlo Palermo ricostruisce il filo rosso che lega l’omicidio di Moro, l’attentato a Wojtyla, le stragi mafiose degli anni 90 e i traffici di armi fra Est e Oves: un gioco pericoloso che coinvolge le organizzazioni occulte che governano il mondo da settant’anni a questa parte.

Amministratori minacciati

Davide Mattiello è stato relatore alla Camera della norma che rafforza le tutele per amministratori, politici e magistrati esposti a minacce.

Il testo è stato prima approvato dal Senato, a partire dal lavoro della Commissione d’inchiesta del Senato, presieduta dalla senatrice Lo Moro, sulle intimidazioni agli amministratori locali. La commissione ha messo in luce la situazione grave che anche Anci e Avviso pubblico denunciano da tempo: sono soprattutto gli amministratori locali oggi a subire queste violenze nel quotidiano e concreto corpo a corpo sul territorio con delinquenti più o meno organizzati. Ma coerentemente al testo licenziato dal Senato, sono stati tenuti dentro anche i politici nazionali perché è capitato e capita che essi stessi siano sottoposti a minacce analoghe. Per questo sono stati respinti gli emendamenti presentati dal M5S che puntavano ad escludere i politici nazionali: Mattiello ha fatto notare che uno dei più importanti processi oggi in corso che esplora il presunto e perverso rapporto tra Stato e mafia, si fonda proprio sull’articolo 338 del codice penale” (è il “processo trattativa” ndr). Rispetto ai contenuti del provvedimento, si realizza l’estensione dell’applicazione della norma (che prevede una pena da 1 a 7 anni), da un lato, agli atti di intimidazione nei confronti dell’organo (politico, amministrativo, giudiziario) o dei “suoi singoli componenti” e, dall’altra, ai casi in cui essi sono finalizzati ad “ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso” (art. 1). Per tali fattispecie si rende pertanto possibile il ricorso alle misure cautelari e alle intercettazioni e si rendono anche applicabili le circostanze aggravanti previste dall’art. 339 del codice penale, quando il fatto è commesso con l’utilizzo di armi, da più persone riunite, con scritto anonimo, etc. Sull’art.339 si è prevista un’ulteriore aggravante delle pene, da un terzo alla metà, se gli atti di intimidazione (lesione, violenza privata, minaccia, danneggiamento) sono commessi ai danni di un componente di un corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa del compimento di un atto nell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio (art. 3). La legge va in scia all’impegno condotto dal 1996 da Avviso Pubblico, rete di enti locali per la promozione della legalità, che da anni redige un rapporto dal titolo ‘Amministratori sotto tiro” e che conduce un’attività di affiancamento a coloro che sono vittime di tali violenze.

Sul 416 ter

Nel gennaio 2013, a ridosso delle elezioni, parte la campagna promossa da Libera e Gruppo Abele con cui si chiede trasparenza ai candidati e l’impegno a riformare l’art. 416 ter del codice penale che sanziona lo scambio politico-mafioso. A pochi giorni dal voto sono 878 i candidati che hanno aderito, di cui i 274 eletti costituiranno in seguito l’intergruppo parlamentare dei ‘braccialetti bianchi’

In pochi giorni vengono raccolte centinaia di migliaia di firme, per sollecitare il futuro Governo ad aggiungere alla vecchia formulazione del reato di scambio politico mafioso la dicitura “altre utilità”: fino ad allora infatti l’articolo prevedeva lo scambio elettorale politico-mafioso solo nel caso in cui fosse avvenuta una erogazione di denaro.

La vecchia formulazione aveva trovato una scarsa applicazione, visto che il politico che si accorda col mafioso non offre denaro, bensì favori, ad esempio su appalti pubblici oppure attraverso l’inserimento di uomini legati alle organizzazioni criminali negli apparati della politica.

Nel giugno del 2013 inizia l’iter parlamentare e la Camera individua nell’On. Davide Mattiello e nell’On. Stefano Dambruoso i relatori del provvedimento, che verrà definitivamente approvato nella nuova formulazione il 16 aprile del 2014, in seconda lettura al Senato.

Come dichiarato dall’on. Mattiello all’indomani dell’approvazione “Con la riforma del voto di scambio abbiamo fatto una rivoluzione ragionevole. Il nuovo 416 ter rivoluziona, infatti, la capacità della magistratura di intervenire per spezzare il rapporto tra mafia e politica, perché diventa dopo 20 anni irrilevante la dazione di denaro per provare il reato”.

A difesa della nuova formulazione si schierarono sia l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, che il 3 aprile del 2014, all’indomanidella seconda approvazione alla Camera, aveva dichiarato “è una norma perfetta e veramente utile a contrastare lo scambio tra politica e mafia”; sia il Presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, che aveva definito positive le decisioni del Governo su Expo, voto di scambio e autoriciclaggio

Innalzamento delle pene

L’iter travagliato del provvedimento, che ricordiamo durò ben 400 giorni, non fu esente da critiche, soprattutto in merito all’abbassamento delle pene rispetto alla precedente formulazione.

Il 14 giugno 2017, grazie ad un emendamento “Mattiello”, al Disegno di Legge del Governo “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, viene approvato definitivamente anche l’innalzamento delle pene che passano nel minimo da 4 a 6 anni e nel massimo da 10 a 12 anni.

Testo dell’articolo art. 416 ter c.p.

«Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma.»

Dichiarazione di Davide del 19 giugno 2017:

“Un impegno che ci eravamo presi come maggioranza quando avevamo detto che, all’aumento delle pene del 416 bis (associazione di tipo mafioso) avremmo tirato su quelle del 416 ter ed è ciò che abbiamo fatto, tenendo fermo il principio della proporzionalità tra pene di fattispecie differenti”.

L’inasprimento del quadro sanzionatorio del 416 bis è stato inserito nel cosiddetto “ddl Anticorruzione”: l’esame del provvedimento, che ha visto come primo firmatario il Presidente del Senato Piero Grasso, era iniziato in Commissione Giustizia del Senato il 5 giugno 2013 ed è stato approvato alla Camera il 15 maggio 2015.

Con la definitiva approvazione dell’AC 4368 le pene previste per il 416 ter passano nel minimo a 6 anni e nel massimo a 12, in coerenza e proporzione alle già innalzate pene per il 416 bis. È stato rispettato l’impegno preso, ma anche le indicazioni della Corte Costituzionale. Così è stato compiuto il percorso iniziato nel 2013.

Il vecchio 416 ter, introdotto nel 1992, per oltre 20 anni non era servito quasi a niente. Il nuovo 416 ter anticipa il momento della commissione del reato allo scambio delle promesse e amplia le condotte perseguibili alle “altre utilità”.

Punisce quindi duramente il politico che cerchi il sostegno della mafia in campagna elettorale, ma punisce autonomamente il mafioso che si presta allo scambio. Una pena grave, ma necessaria a rimarcare che la mafia non avrebbe la forza che ha senza l’interlocuzione con la politica e quindi il politico che cerchi il suo sostegno, contribuendo a legittimarla socialmente, ne perpetra la sopravvivenza.

Rispetto alle parole “mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis” che hanno generato incertezze sulle modalità di applicazione, sono state di conforto le più recenti parole dell’allora PNAA, Franco Roberti:

“Dopo un iniziale periodo di rodaggio della nuova versione dell’articolo 416 ter, la nuova giurisprudenza della Cassazione si è assestata su una interpretazione che secondo me rende questa norma applicabile, agibile, e quindi c’è uno strumento in più per contrastare le connessioni politico-mafiose che sono come sappiamo tutti la vera forza delle mafie”.

Sull’omicidio Mattarella

E’ facilissimo recuperare in rete questo articolo dell’agosto del 1989 per rendersi conto non soltanto di quanto si fosse già capito allora, ma soprattutto di chi c’era e che ruoli ricopriva. Tra l’altro non sfugge che questo intreccio rimanda ancora una volta al delitto di Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio (5 Agosto 1989). E’ sacrosanto continuare a dire che non bisogna mai smettere di cercare la verità su quei fatti, che sono stati soltanto brutali atti criminali. Ma proprio per questo bisognerebbe intanto fare piena luce sul corto circuito dell’estate del 2013, il passaggio di consegne tra Grasso e Roberti al vertice della Procura nazionale Antimafia. Chi e perchè fece uscire dagli uffici della DNA i verbali delle due riunioni segrete in cui si fece il punto su anni di indagini relative ai legami tra mafia, politica e apparati? Cosa accadde veramente tra il Dicembre 2012 e l’estate del 2013 al collaboratore Nino Lo Giudice, detto il “nano”? Davvero passò seri guai quando qualcuno seppe che stava parlando anche di Giovanni Aiello (alias “Faccia di mostro”), nel frattempo certamente morto il 21 Agosto del 2017 a Montauro? Come è possibile che il CSM continui a procrastinare la decisione sulla incolpazione del dott. Donadio, mossa dai procuratori Lari e Salvi, nonostante esista da tempo una formale richiesta di archiviazione da parte della Procura generale della Cassazione? Quanto sono ancora forti gli interessi legati ai protagonisti di quelle vicende se non è possibile ancora oggi avere delle risposte? Io so che ci sono uomini delle Istituzioni ancora vivi, vegeti e con ruoli di grande responsabilità che sanno molto, se non tutto: sarebbe giusto che si facessero avanti, scegliendo di dire anche ciò che non viene loro chiesto. Io so che il processo “ndragheta stragista” che si celebra a Reggio Calabria, così come quello “Trattativa” che si celebra a Palermo stanno caparbiamente “carotando” quel grumo di interessi e meritano rispetto e attenzione. Io so che alcune latitanze diversamente irrisolvibili (Matacena e Messina Denaro) sono la misura della vitalità di quel grumo di interessi, che si è trascinato fino ad oggi, perchè di “amici” in giro per il Mondo ce ne sono ancora tanti. A quelli che sanno perchè c’erano e hanno avuto parte nei fatti, vorrei chidere se non sentano di essere stati, in gran parte, usati, con la messa in scena della guerra tra Mondi, che richiedeva l’eroismo tragico del “male”, per far vincere il “bene”, che è costato così tanto a tutti (a chi il male l’ha subito, ma anche a chi lo ha agito). Chissà che non abbia proprio pensato questo quel magistrato, titolare di importanti inchieste su mafia, politica e massoneria, che nell’agosto dell’89 prende un volo Roma Palermo, per incarico dell’Alto commissario anti mafia, Sica, per fare il punto con Giammanco, Falcone, Sciacchitano, Pignatone e tutti gli altri. Quel magistrato che, diventato consigliere del Presidente della Repubblica, morirà improvvisamente di infarto nel Luglio del 2012, poco dopo aver scritto una drammatica lettera proprio al Presidente della Repubblica, nella quale manifestava il timore di essere stato usato per coprire indicibili accordi e il desiderio di tornare in prima linea a fare indagini: Loris D’Ambrosio.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/08/17/si-rafforza-la-pista-nera-nell-inchiesta.html

Lamezia Terme, codice Antimafia e riforme

Continuare l’azione anti mafia portata avanti in questi anni: la sfida è la corruzione clientelare. Lo scioglimento del Comune di Lamezia Terme, dove ieri mattina ho avuto modo di confrontarmi con Libera e la CGIL in un dibattito sul Codice Antimafia, ci sprona a continuare sulla via delle riforme approvate in questi anni. Infatti il Codice Antimafia, il reato di voto di scambio, quello di autoriciclaggio, i delitti ambientali, il falso in bilancio, il più rigoroso contrasto del caporalato, la tutela rafforzata per gli amministratori locali, sono state tutte riforme mirate a rendere sempre più sconveniente il sodalizio mafioso e quello non meno grave di chi corrompe sistematicamente, dirottando risorse pubbliche e impoverendo il tessuto sociale. Dobbiamo continuare, rivedendo anche la normativa che permette lo scioglimento dei Comuni per renderla più efficace, sapendo però che lo strumento dello scioglimento serve soltanto ad interrompere l’infiltrazione mafiosa: è come un ‘salva vita’ che scatta quando il circuito elettrico si surriscalda, non è lo scioglimento che risolve il problema. Per risolverlo ci vuole una diversa cultura politica che rigetti esplicitamente i voti mafiosi e clientelari e punti a far tornare a votare i tanti cittadini per bene che sempre più spesso rinunciano a prendere parte. Purtroppo, più cresce l’astensionismo, più i voti sporchi diventano decisivi