In memoria di Guerino Capolicchio, morto ieri.

Era il papà di Dario Capolicchio, il giovane studente di architettura ucciso dal tritolo mafioso in Via dei Georgofili a Firenze la notte tra il 26 ed il 27 maggio 1993. Era un uomo indomito.
Quando fondammo Libera nel Ponente ligure lui decise di rimettersi in gioco, di scommettere su quei giovani che davano l’impressione di non essere fuoco di paglia: ebbe ragione.
“Condoglianze” è una bella parola, purtroppo spesso svuotata dalla routine e dall’imbarazzo, che significa: “soffro con te. Il tuo dolore è anche il mio”. “Condoglianze” si esprimono alla famiglia del morto, ma “Condoglianze” si condividono anche accompagnando i vivi cui la mafia ha strappato un amore. Non c’è, o almeno io non la trovo, una parola per dire “la tua rabbia è anche la mia rabbia”, perché se ci fosse ora userei quella. La rabbia di chi non trova giustizia, pur avendola cercata con tutte le proprie forze, pur avendo avuto fiducia nello Stato. La rabbia di chi capisce che la verità viene taciuta perché dirompente, non perché impossibile. Quando ho saputo della morte di Guerino ho pensato ad Augusta: come si fa a sopravvivere all’assassinio del proprio figlio? Cercando la verità.
Maledetti i mafiosi che tanto sangue innocente hanno versato e che ancora oggi se parlano non lo fanno per un ripensamento, ma per continuare il gioco viscido dei ricatti. Maledetti i conniventi, annidati anche nello Stato, che hanno preferito portarseli in casa anziché denunciarli. E poveri noi se ci rassegniamo alla verità “sostenibile”, se rinunciamo a fare Repubblica, crogiolandoci al sole di qualche balcone.
In memoria di Guerino Capolicchio, c’è solo l’impegno. Ultimamente Guerino aveva raccolto tutto quello che aveva capito in due grandi libroni, scritti a mano (!), densi di ritagli, di foto e di brani di libri: uno lo ha affidato ai ragazzi di Libera di Sarzana, l’altro a me. Oggi riparto da qui.