Tribunale di Reggio Calabria apra nel 2018

Il Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria deve aprire nel 2018: un segnale che non può essere rimandato”. A chiederlo è il deputato Pd Davide Mattiello, arrivato a Reggio Calabria per i funerali del dott. Andrea Caridi, che ha diretto il Servizio centrale di sicurezza del Viminale e che e’ improvvisamente morto la notte di Capodanno. “Dopo aver fatto visita agli Uffici della Direzione Distrettuale Antimafia ancora, purtroppo, ho dovuto attraversare troppi gabinetti – racconta il deputato – sì perché il nuovo Palazzo di Giustizia non è ancora agibile e, almeno ad una occhiata superficiale, non sembra che sia cambiato granché dall’ultima visita. Per questo gli Uffici della Procura sono ospitati all’ultimo piano del CE.DIR. in condizioni dignitosamente precarie. I ‘segnali’ sono importanti, attraverso di essi lo Stato attribuisce importanza ai propri servitori e ad intere articolazioni della propria Amministrazione. Non è possibile sopportare oltre che la Procura che coordina indagini relative ai rapporti tra ‘Ndrangheta e politica (Matacena, Scajola), relative alla direzione strategica e altolocata della ‘Ndrangheta (Ghota), alla unitarietà della strategia stragista degli anni ’90 (‘Ndrangheta Stragista), alla proiezione globale della ‘Ndrangheta e del sistematico utilizzo delle tecnologie informatiche, abbia gli Uffici tra una batteria di gabinetti e quella successiva”. Rispondendo ad una interrogazione tempo fa il Ministro della Giustizia Andrea Orlando auspicò l’inaugurazione del nuovo Palazzo di Giustizia entro il 2018: “abbiamo un anno per dare definitivamente e concretamente seguito a quell’auspicio

I latitanti negli Emirati Arabi possono stare tranquilli..

Per ora i latitanti italiani negli Emirati Arabi Uniti possono stare tranquilli (Ammesso che siano ancora lì). Il Governo, nella persona del Sottosegretario Ferri, ha risposto alla mia ultima interrogazione, intervenendo alle 14.30 in Commissione Giustizia. Interrogazione con la quale chiedevo conto del Trattato di cooperazione giudiziaria e di estradizione tra Italia ed Emirati ed in particolare della posizione di Amedeo Matacena. Da quando nel Settembre del 2015 venne approvato l’accordo preliminare, il problema giuridico resta sempre lo stesso: il testo avrebbe dovuto prevedere una più esplicita tutela nei casi in cui fossero stati richiesti dalle autorità emiratine soggetti che, consegnati, avrebbero rischiato la pena di morte. Condizione resa ancora più vincolante dalla entrata in vigore della legge 21 Luglio 2016 n. 149. Sembra che si rendano per questo necessari nuovi negoziati. Non si spiega perchè, nonostante questo e fermi gli ottimi rapporti economici e culturali tra Italia ed Emirati, la “cortesia diplomatica” non basti a vedersi consegnati dalle autorità emiratine nessuno degli italiani richiesti: non soltanto il Matacena, ma anche Massimigliano Alfano, Gaetano Schettino, Raffaele Imperiale, Andrea Nucera, Giulio Cetti Serbelloni. Auspico che il lavoro della nuova Commissione consolare mista da poco costituita, porti a qualche risultato attraverso l’incontro previsto per questo stesso mese di Giugno. A queste condizioni molto difficilmente il Trattato potrà terminare il proprio iter parlamentare entro la fine di questa Legislatura. Soltanto uno scatto di orgoglio del Governo italiano potrà fare la differenza.

 

Camera dei Deputati: intervento in aula a favore degli amministratori minacciati

grazie Presidente,

la proposta di Legge 3891 che l’Aula inizia ad esaminare è già stata approvata dal Senato con ampio consenso l’8 Giugno di un anno fa. L’intenzione che manifesto a nome della maggioranza è quella di approvare senza modifiche il testo che ci è arrivato dal Senato, in modo da chiudere l’iter parlamentare e permettere la promulgazione di queste norme che, come argomenterò tra poco, rappresentano un passo avanti dello Stato nella tutela di un bene repubblicano fondamentale, la libertà del processo attraverso cui si forma la volontà pubblica. In altre parole: l’essenza stessa della democrazia.Con questa stessa intenzione abbiamo affrontato l’esame in Commissione Giustizia.
Questa proposta di Legge è figlia del lavoro fatto dalla Commissione di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, presieduta dalla Senatrice Lo Moro, istituita dal Senato il 3 ottobre 2013, che ha terminato i suoi lavori il 26 febbraio 2015 con una relazione votata all’unanimità. Una proposta di Legge fortemente voluta dalle due associazioni che in Italia più si incaricano di rappresentare le istanze degli amministratori locali: ANCI e Avviso Pubblico.
Infatti se oggi siamo qui a discutere di questa proposta è perché il Parlamento si è fatto carico di una situazione grave, che soprattutto in alcune aree del nostro Paese costituisce una vera e propria emergenza: Sindaci, assessori, consiglieri comunali e agenti di Polizia Municipale minacciati, colpiti nella persona o nel patrimonio, nel tentativo di piegarli a fare cosa non deve essere fatto o per ritorsione rabbiosa verso ciò che è stato fatto.
Avviso Pubblico stima circa 500 atti del genere in un anno, facendo conto ovviamente soltanto sui dati legati alle denunce, quindi ai fatti emersi.
Perché i Comuni? Perché sono l’articolazione dello Stato con cui i cittadini entrano più direttamente in contatto e, soprattutto nei centri medio piccoli, sono la “faccia” dello Stato sulla quale si addensano aspettative di ogni tipo, più o meno legittime.
Infatti a porre in essere minacce e violenze oltre alla criminalità più o meno organizzata e di stampo mafioso, c’è anche un’altra tipologia di soggetti, che non va giustificata, ma che va analizzata di per se’: cittadini esasperati dalla frustrazione e dalla paura per il futuro. Cittadini che arrivano purtroppo a trasformare in violenza il disagio, quando curva diventando disperazione. Per questo se è senz’altro importante che lo Stato con questa Legge alzi scudi più robusti attorno ai Comuni, lo è altrettanto il ricordaci quanto siano fondamentali interventi di natura sociale che alimentino la coesione e promuovano l’emancipazione dal bisogno. Mentre alziamo gli scudi, insomma, dovremmo anche rafforza le braccia dei Comuni, attraverso una disponibilità maggiore di risorse economiche da spendere, con rigore e trasparenza.
La proposta di Legge fa due scelte di fondo su cui vorrei attirare l’attenzione dell’Aula prima di passare ad una puntuale disamina degli articoli.
La prima: chi colpisce un Sindaco, un assessore, un consigliere colpisce la democrazia.
Avrebbe infatti potuto il Legislatore prendere in considerazione le fattispecie base che normalmente integrano gli attacchi, cioè la minaccia, le lesioni, la violenza privata, il danneggiamento, l’ingiuria, la diffamazione, gli atti persecutori, fino all’estorsione e costruirci sopra una aggravante qualora questi attacchi fossero rivolti ad amministratori locali, oppure avrebbe potuto intervenire sul 336 del cp, che sanzione proprio la minaccia e la violenza contro il pubblico ufficiale e invece ha preferito lavorare sul 338 del codice penale. Scelta benedetta, perché è la fattispecie che meglio individua il bene giuridico offeso che più qualifica la condotta che è libertà con la quale deve potersi formare la decisione della Pubblica Amministrazione, intesa in ogni sua manifestazione. Libertà, sia detto per inciso ma con fermezza, che equivale a piena responsabilità: chi si assume un ruolo pubblico non deve essere indebitamente condizionato, proprio perché deve e ribadisco deve poter rispondere di quello che fa e di quello che non fa, senza alcun alibi.
Il 338 sanziona con una pena compresa tra uno e sette anni chi usando minaccia o violenza provi ad impedire o anche soltanto a turbare temporaneamente l’esercizio della funzione di un Corpo politico, amministrativo, giudiziario o di una sua rappresentanza. Un range edittale che permette la procedibilità d’ufficio, le misure cautelari e le intercettazioni in fase di indagine.
La seconda scelta di fondo è stata quella di modificare il 338 per tutti i soggetti cui il 338 si riferisce e non soltanto per gli amministratori locali.
Aderisco convintamente anche a questa seconda scelta perché è un buon Legislatore quello che, spronato ad intervenire da una emergenza contingente, rifletta pacatamente per offrire non soltanto una risposta puntuale all’emergenza considerata, ma una risposta di sistema, che tenga conto della storia e si sforzi di proiettarsi con lungimiranza nel futuro.
Ecco che allora lo “scudo” che noi rafforziamo, lo rafforziamo per tutta la platea di soggetti considerata dal 338: corpi politici, quindi il Legislatore regionale e nazionale e corpi giudiziari.
Altra scelta benedetta perché non è meno importante ovviamente la libertà della formazione della volontà del Legislatore o del Giudice. Evoco soltanto due episodi: a Palermo il più importante processo in corso di dibattimento che esplora l’ipotizzato rapporto scellerato tra Cosa Nostra e pezzi di Stato nel periodo stragista, il così detto “processo trattativa” è costruito sul 338 del codice penale. A Torino soltanto una settimana fa è stato sventato un attentato dinamitardo nel tribunale, verosimilmente collegato all’apertura del dibattimento del processo “Scripta manent” che vede imputati soggetti riconducibili all’area anarco informale.
In vero, c’è un quarto “corpo” che viene giustamente tutelato dal complesso dell’articolato, soprattutto con riferimento a quanto previsto dall’articolo 5, un “quarto corpo” che non è espressamente richiamato dal 338: il “corpo elettorale”. Bene fa la proposta di legge in esame a includere anche l’art. 90 del DPR 570 del ’60, sulle elezione dei Consigli comunali, che per analogia rimanda all’art. 100 del DPR 361 del ’57 sulla elezione delle Camere. Fa bene perché la minaccia o la violenza possono anche essere indirizzati contro il corpo elettorale nel momento in cui si forma la più fondamentale di tutte le volontà repubblicane, quella attraverso la quale si seleziona la rappresentanza democratica. La situazione che si sta vivendo a Trapani offre da questo punto di vista preoccupanti spunti di riflessione.
Vengo in fine a ripercorre le principali novità del testo.Con l’articolo 1 aggiungiamo all’art. 338 le parole “ai singoli componenti”, quindi non soltanto il “corpo” nel suo complesso o la sua “rappresentanza”. In modo da chiarire definitivamente che chi tocca uno, tocca tutti e tocca lo Stato. Con l’articolo 2 rendiamo obbligatorio l’arresto in flagranza.Con l’articolo 3 definiamo una aggravante ad effetto speciale, che scatta quando le condotte intimidatorie abbiano una valenza ritorsiva rispetto alle decisioni assunteCon l’articolo 4 estendiamo la causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis anche all’aggravante di cui sopra, qualora l’atto assunto sia figlio di un abuso di potere.Con l’articolo 5 estendiamo la punibilità prevista a tutela del corpo elettorale anche a chi usi minaccia o violenza sul candidato o su chi decida di spendersi a sostegno del candidato, per tanto ritengo positiva la scelta fatta nell’usare il termine “altri” e non il termine “candidato”.Con l’articolo 6 definiamo le modalità con le quali il Ministero dell’Interno debba procedere nel far funzionare l’Osservatorio sugli atti intimidatori nei confronti degli Amministratori locali, già varato nel Luglio del 2015.
Ecco, Presidente e colleghi, una proposta di Legge utile e illuminata, che idealmente è dedicata in particolare a quegli Amministratori locali che hanno pagato con la vita la propria dedizione alla Repubblica, fatemene ricordare uno per tutti, il Sindaco di Pagani Marcello Torre, ucciso per ordine di Cutolo l’11 Dicembre del 1980.E anche a quelli che non sono stati uccisi, ma mortificati quando hanno scelto la legalità anziché l’accomodamento, come accadde all’indimenticato Sindaco di Torino Diego Novelli, quando nel 1983 decise di denunciare la corruzione all’interno del Comune, anziché cercare criminogeni aggiustamenti “politici”.
L’Italia spesso in affanno sul cammino della credibilità istituzionale, deve molto a tutti loro.
Grazie Presidente

Voto di scambio: missione compiuta

Voto di scambio politico mafioso: missione compiuta.Con la definitiva approvazione dell’AC 4368 le pene previste per il 416 ter passano nel minimo a 6 anni e nel massimo a 12 (ora il minimo è 4, il massimo è 6), in coerenza e proporzione alle già innalzate pene per il 416 bis.Abbiamo così rispettato l’impegno che ci eravamo presi, ma anche le indicazioni della Corte Costituzionale. Così abbiamo compiuto il percorso iniziato nel 2013.Il vecchio 416 ter, introdotto nel 1992, per oltre 20 anni non era servito quasi a niente. Il nuovo 416 ter anticipa il momento della commissione del reato allo scambio delle le promesse e amplia le condotte perseguibili alle “altre utilità”. Punisce quindi duramente il politico che cerchi il sostegno della mafia in campagna elettorale, ma punisce autonomamente il mafioso che si presta allo scambio. Una pena grave, ma necessaria a rimarcare che la mafia non avrebbe la forza che ha senza l’interlocuzione con la politica e quindi il politico che cerchi il suo sostegno, contribuendo a legittimarla socialmente, ne perpetra la sopravvivenza.Rispetto alle parole “mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis” che hanno creato qualche incertezza, sono state di conforto le più recenti parole del PNAA, Franco Roberti: “Dopo un iniziale periodo di rodaggio della nuova versione dell’articolo 416 ter, la nuova giurisprudenza della Cassazione si è assestata su una interpretazione che secondo me rende questa norma applicabile, agibile, e quindi c’è uno strumento in più per contrastare le connessioni politico-mafiose che sono come sappiamo tutti la vera forza delle mafie”

Mafia: Cassazione, no archiviazione omicidio Vecchio-Rovetta

(ANSA) – ROMA, 13 GIU – Il duplice omicidio di Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta, avvenuto 27 anni fa a Catania, deve essere riconsiderato dalla procura: lo ha stabilito la Cassazione. La sentenza è della Prima Sezione Penale, presidente Maria Stefania Di Tomassi, relatore Stefano Aprile, e riconosce le ragioni dei ricorrenti, la moglie di Francesco Vecchio, Elvira Chiarenza, e il figlio Salvatore, annullando il decreto di archiviazione emesso dal gip di Catania il 30 Giugno 2016, sulla base della richiesta della procura. La Cassazione ha pertanto deciso di trasmettere gli atti alla procura di Catania. Francesco Vecchio era un imprenditore originario di Acireale che, con Alessandro Rovetta, venne crivellato di colpi di arma da fuoco il 31 ottobre 1990 nella zona industriale di Catania, a poca distanza dalle Acciaierie Megara dove entrambi lavoravano, un omicidio la cui mano è ancora sconosciuta ma la cui matrice è ritenuta di origine mafiosa. “E’ una decisione che alimenta la speranza. Anche La Commissione Antimafia e in particolare il V Comitato, da me presieduto – afferma il deputato pd Davide Mattiello – ha recentemente ascoltato Salvatore Vecchio volendo raccogliere in atti parlamentari la memoria di una vicenda che merita attenzione e che speriamo possa ancora essere illuminata dalla verità giudiziaria. Il duplice omicidio di Vecchio e Rovetta, entrambi con responsabilità aziendali apicali, commesso a Catania il 31 Ottobre del ‘90, cioè in una città che viveva nella morsa del potere mafioso dei Santapaola, ricorda altri omicidi di persone perbene, che hanno pagato con la vita la propria normale coerenza ai doveri professionali. Non persone impegnate contro le mafie, ma persone che hanno rivendicato semplicemente il diritto di fare il proprio dovere. Mi viene in mente l’avvocato Serafino Famà, ucciso anche lui a Catania nel 1995. In Italia questo tipo di normalità è spesso rivoluzionario e si paga a caro prezzo, per questo ogni sforzo che possa essere ancora fatto per scoprire la verità è benedetto. La pena dei familiari sopravvissuti non si prescrive mai, non esiste il conforto dell’oblio. Può esistere soltanto il conforto della verità, che per lo Stato non dovrebbe mai avere un prezzo troppo alto”

Giustizia: rischio stato polizia “Concezione ‘olistica’ va mitigata da rigorosa divisione poteri”

(ANSA) – ROMA, 10 GIU – “Stimato Prefetto Gabrielli, ho meditato a lungo sulla sua intervista di ieri. In questi anni di impegno parlamentare ho avuto modo di misurare meglio la complessità e la delicatezza del lavoro degli apparati di sicurezza e delle Forze di Polizia, quindi apprezzo prima ancora che il contenuto delle sue dichiarazioni, il lavoro che quotidianamente lei guida e rappresenta”. Inizia con queste parole una sorta di lettera aperta del deputato Pd Davide Mattiello al capo della polizia Franco Gabrielli, ieri intervistato da La Repubblica.
“Ho quindi seguito il dibattito relativo alle norme sulla comunicazione per via gerarchica anche delle informazioni relative ad attività di Polizia Giudiziaria – prosegue il parlamentare – e non dal giorno in cui il CSM ha assunto la posizione che lei ritiene offensiva, ma dal giorno in cui abbiamo appreso della inchiesta "Occhionero”, era l’ inizio del 2017. Conoscevo la norma del 2010 e pure la prassi che lei stesso ha richiamato, per evitare ogni ipocrisia. Per tutto questo e apprezzando sempre la profondità degli argomenti che lei è solito usare, vorrei che mi chiarisse un punto: la concezione “olistica” della sicurezza come incrocia la fondamentale divisione dei poteri su cui si basano le nostre democrazie liberali? A meno di non voler considerare la Magistratura un potere costituzionale, ma semplicemente una articolazione della pubblica amministrazione al pari delle altre. La concezione “olistica” se non mitigata dalla rigorosa divisione dei poteri, non rischia di evocare più che uno Stato di Diritto, uno Stato di Polizia?“, conclude Mattiello.

Testimoni di giustizia: in arrivo carta dei diritti e doveri

(ANSA) – ROMA, 6 GIU – E’ in arrivo una nuova carta dei diritti e dei doveri dei testimoni e dei collaboratori di giustizia in vista della approvazione della riforma del sistema di protezione dei primi, già approvata dalla Camera e all’esame del Senato. Questo il risultato più evidente della presentazione, oggi al Viminale, della Relazione al Parlamento sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia e dei collaboratori.
Dal report emerge che la popolazione protetta, al 30 giugno 2016, ammonta a 6.525 persone di cui 78 testimoni, 255 loro congiunti, 1.277 collaboratori e 4.915 congiunti dei collaboratori. La fascia dai 0 ai 18 anni è di 2.123 persone mentre sono 89 le persone di sesso femminile che collaborano con la giustizia: 26 testimoni e 63 collaboratrici. La relazione evidenzia come, nonostante lo Stato impegni grandi risorse finanziarie, umane e strumentali per sostenere testimoni e collaboratori, la qualità percepita dei servizi è spesso bassa e ci si confronta frequentemente con situazioni di disagio. La legge del 2013 che prevede l’assunzione nella Pubblica amministrazione per i testimoni di giustizia ha cominciato a produrre i primi risultati nel primo semestre del 2016 con l’assunzione di tre testimoni presso amministrazioni comunali.
La Regione siciliana, che si è dotata di una propria legge, ha assunto complessivamente 26 testimoni di giustizia.
“L’esperienza dei collaboratori e dei testimoni di giustizia è stata di successo al netto dei travagli che sono un elemento fisiologico – ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti – mi auguro che il Parlamento accolga tutto questo lavoro e che la carta dei diritti e dei doveri sia una sorta di bypass in attesa della nuova legge che porterebbe a compimento la terza tappa di un percorso iniziato nel 1991”. “Ci auguriamo che il Senato possa approvare il disegno di legge sui testimoni di giustizia in questa legislatura o quantomeno all’inizio della prossima”, gli ha fatto eco il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. E per Davide Mattiello, coordinatore in Antimafia del V comitato che si occupa proprio di collaboratori e testimoni, “sarebbe un peccato non approvare in questa legislatura la riforma”.

Fine legislatura: e il trattato con gli Emirati?

La Legislatura non può finire senza approvare il Trattato con gli Emirati, c’è il rischio che scatti l’estinzione della pena per diversi delinquenti. Secondo l’art. 172 del nostro codice penale, trascorso il doppio della pena stabilita, il condannato che sia riuscito a farla franca, non ha più niente da temere: è libero. Il fatto che l’Italia continui a non ratificare il trattato di estradizione con gli Emirati Arabi Uniti, rende altamente probabile che il meccanismo del 172 scatti a vantaggio di latitanti che spudoratamente, alla luce del sole, si godono la libertà tra Dubai e Abu Dhabi. Dall’ex parlamentare di FI Amedeo Matacena, al narcotrafficante Imperiale, fino ai casi più recenti qualora si arrivasse a condanne definitive. Possiamo permettercelo? Giustamente stiamo facendo il possibile perché il Parlamento approvi definitivamente leggi come la riforma del processo penale o come il nuovo Codice Antimafia, ma senza la ratifica del Trattato rischiamo di costruire dei secchi bucati: mentre potenziamo gli strumenti di repressione e contrasto anche patrimoniale alla criminalità, lasciamo colpevolmente una uscita di sicurezza spalancata. Nell’Ottobre del 2016 abbiamo anche approvato una risoluzione in Commissione Giustizia Camera che impegna il Governo ad agire, nelle more dell’approvazione del Trattato, per via diplomatica per ottenere subito alcune estradizioni. Tra l’altro gli Emirati hanno dal canto loro ratificato il trattato. Più recentemente abbiamo depositato una interrogazione parlamentare in Commissione Esteri. Insomma: l’attenzione parlamentare è massima, ma spetta al Governo sbloccare situazione, rimettendo il trattato all’odg del Consiglio dei Ministri.

Festa della Repubblica: ottima occasione per sbloccare un certo trattato..

La Festa della Repubblica è una ottima occasione per sbloccare il Trattato di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi. Col 2 giugno del 1946 gli Italiani hanno deciso che l’unico sovrano è il popolo e che la sovranità si realizza attraverso la legge davanti alla quale tutti sono uguali. Cioè: nessuna appartenenza a questa o quella ‘tribù’ può giustificare un vantaggio sugli altri. Tanto meno l’appartenenza alla ‘tribù’ dei corrotti e dei mafiosi. Le latitanze spudorate che alcuni delinquenti italiani, a cominciare da Amedeo Matacena, stanno godendosi negli Emirati Arabi grazie alla mancanza di un trattato di cooperazione giudiziaria che consenta le estradizioni, è purtroppo una insopportabile contraddizione del principio fondativo della Repubblica. Il messaggio che rischia di passare è infatti che quelli che appartengono a certe ‘tribù’ riescono a farla franca. Un messaggio devastante perché esiste un evidente nesso culturale tra queste situazioni clamorose e la diffusa illegalità che segna il nostro Paese, penso alle ultime audizioni in ordine di tempo fatte come Commissione Antimafia dei Prefetti di Latina, Trapani, Reggio Calabria, Napoli. L’impressione è quella di un tessuto sociale sempre più insofferente al principio di legalità, influenzato negativamente dal cattivo esempio che spesso arriva proprio da chi ha responsabilità istituzionali. L’Italia sarà una Repubblica migliore se porremo fine a queste latitanze.

Riforma codice antimafia: ottimo lavoro del Senato

La Commissione Giustizia del Senato ha lavorato bene: l’impianto della riforma confermato e migliorato. Gli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia del Senato sono stati concordati con la maggioranza alla Camera e questo credo che consentirà, dopo il voto dell’Aula del Senato, una veloce ultima lettura alla Camera. Ha prevalso in tutti il senso di responsabilità che ha consentito di mediare su alcune proposte avanzate in Senato che avrebbero modificato profondamente il testo approvato alla Camera. Invece con la mediazione raggiunta si potenziano ulteriormente gli strumenti dedicati in particolare alla gestione delle aziende in fase di sequestro, allargando la platea di soggetti qualificati a cui il giudice delegato potrà rivolgersi per amministrare le aziende, scongiurando il rischio che falliscano. Auspico che questo medesimo senso di responsabilità ci guidi fino alla approvazione definitiva del testo