Domandare è lecito alla presidenza della Commissione Antimafia. Rispondere, un dovere morale e politico.

La morra cinese

Si è composta la presidenza della Commissione parlamentare Antimafia, vorrei dire “finalmente”, ma non me la sento, perché l’esito è inquietante e non basta riempire un vuoto istituzionale purchessia per cantare vittoria. Anzi.
Il presidente è il Senatore 5Stelle Morra che nella scorsa Legislatura, pur essendo già Senatore, non faceva parte della Commissione Antimafia. Vice presidenti: Jole Santelli, coordinatrice di Forza Italia in Calabria, fedelissima, come lei stessa ha recentemente e fieramente ribadito, di Silvio Berlusconi e Christian Solinas, del Partito Sardo d’Azione, molto legato a Salvini, che infatti lo sponsorizza alla Presidenza della Sardegna, noto alle cronache per aver vantato una Laurea patacca, in stile Trota.
Segretari di Commissione: Wanda Ferro, calabrese, legata a Berlusconi anche se recentemente passata a Fratelli d’Italia e Gianni Tonelli, leader del SAP (Sindacato di destra della Polizia) eletto grazie a Salvini, noto per le sue posizioni, diciamo “crude”, su Cucchi e altri drammi simili.
Quindi: Movimento 5 Stelle 1, Destra 4. Di cui 2 chiaramente legati a Berlusconi e due a Salvini (che è a sua volta legato a Berlusconi per diverse faccende). Centro Sinistra: non pervenuto.
Tralascio ogni considerazione di natura politica su un esito che pare molto simile a quello che ha portato alla elezione dei presidenti di Camera e Senato e che rende plastica la sopravvissuta centralità di Berlusconi nella scena politica italiana, ovvero: nessuna di soluzione di continuità tra il sistema di potere che si è imposto in Italia nella stagione ’92-’94 e quello che la governa oggi, con buona pace dei 5Stelle.
L’elezione di Salvini nel collegio di Reggio Calabria grazie soprattutto all’impegno di Scopelliti, resta per me il segno più evidente di questa continuità infausta.

 

Mi soffermo invece su alcune domande che rivolgo al Presidente Morra.
L’attuale maggioranza ha approvato una modifica al Codice Antimafia, che prevede la possibilità di vendere all’asta ai privati i beni confiscati alla mafia. Mai prima d’ora in questo modo. Questa possibilità, formalmente presentata come estrema ratio, diventerà molto probabilmente la norma nella prassi applicativa: sarà molto più comodo infatti lasciar spirare i termini di 90-180 giorni entro i quali devono manifestarsi le disponibilità di soggetti istituzionali o sociali a gestire il bene confiscato, prendere atto dell’assenza di proposte e mettere all’asta. La modalità con la quale si realizzerà il meccanismo di vendita nulla potrà contro i prestanome dei mafiosi, che avranno buon gioco a riprendersi i beni immobili ed aziendali, mantenendo saldo il potere e il prestigio sul territorio.
Cosa Pensa il Presidente di questa norma?

 

Il Parlamento ha finalmente ratificato il Trattato di cooperazione giudiziaria e di estradizione con gli Emirati Arabi, un lavoro lungo e complicato cominciato su sollecitazione nostra nel 2014, portato avanti dal Ministro Orlando e perfezionato in finale di XVII Legislatura. Un Trattato fondamentale per evitare che gli Emirati Arabi continuino ad essere il paradiso dei latitanti italiani e tra questi di uno in particolare: Amedeo Matacena. Già deputato di Forza Italia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, protagonista della prima stagione di Forza Italia in Calabria, della cui latitanza i magistrati reggini si occupano traendo spunto dalle carte di una delle più importanti inchieste della DDA di Reggio Calabria, Breakfast, che riguarda l’intreccio di interessi e relazioni tra estrema destra (alludo a Guaglianone già tesoriere dei NAR), ‘ndranghetapersonaggi della Lega Nord, ai vertici del sistema fino a pochi anni fa (alludo a Mafrici e Belsito) e lambisce personalità di spicco come Scajola (già Ministro dell’Interno, attualmente Sindaco di Imperia).
Cosa intende fare il Presidente Morra per sollecitare l’applicazione del Trattato ed in particolare l’estradizione di Amedeo Matacena?

 

Il Parlamento ha finalmente a disposizione alcune sentenze di fondamentale importanza per fare luce sul quello che è il nodo irrisolto del rapporto Stato mafia in Italia: la stagione 1989-1994. A cominciare da quella ormai definitiva (2014), che ha condannato Marcello Dell’Utri come concorrente esterno di Cosa Nostra, fino a quelle di primo grado dei processi “Trattativa” e “Borsellino quater”, le cui motivazioni ormai depositate servono eccome a comporre il puzzle delle relazioni politiche, economiche e criminali che hanno fatto la storia di quegli anni e che in gran parte continuano a farla anche oggi. La responsabilità penale pretende il terzo grado di giudizio, quella politica un po’ di coraggio.
Cosa intende fare il Presidente Morra su questo punto?

 

Sta per iniziare uno dei processi più dolorosi, legato a quello che è stato definito dalla magistratura giudicante “il più grave depistaggio della storia repubblicana”: il processo che vede imputati tre funzionari di polizia (Bo, Mattei e Ribaudo) per la vicenda Scarantino. Sarebbe di fondamentale importanza, come più volte chiesto anche da Fiammetta Borsellino, che i tre dicessero tutto quello che sanno una volta per tutte (come potrebbe ancora fare Contrada). Rompendo una subdola forma di omertà che pare essere più resistente ancora di quella interna alla mafia: quella determinata dall’appartenenza agli apparati di sicurezza. Come ha recentemente deciso di fare Francesco Tedesco, il carabiniere testimone del pestaggio subito da Stefano Cucchi. Noi crediamo che sia da incoraggiare questo sforzo, perché “eroe” è chi punta il dito e fa i nomi, non chi sta zitto per paura e convenienza.
Il Presidente intende prendere una posizione su questo punto, sostenendo scelte di questo tipo?

Torino, 22/11/18
Davide Mattiello
Presidente della Fondazione Benvenuti in Italia
Deputato nella XVII Legislatura

 

Commissione Antimafia, ma vi pare normale?

Questa mattina ero a Roma, davanti Palazzo San Macuto, sede della Commissione Parlamentare Antimafia. La Commissione, essendo “speciale” necessita di essere istituita ad ogni legislatura. Attualmente la Commissione è stata quindi istituita, ma non ancora costituita.

Intanto il Ministro dell’Interno vuole intervenire sul Codice Antimafia con un Decreto Legge per permettere la vendita dei beni confiscati anche ai privati. Ma vi pare normale?

Contromafie: una sferzata per non rallentare

La IV edizione di Contromafie é una sferzata che non permette di rallentare il cammino fatto, ma nemmeno di dimenticare da dove arriviamo. Gian Carlo Caselli nel suo intervento ha ribadito la centralità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa che ha permesso di colpire il sistema di relazioni altolocate che erano e sono la forza delle mafie. Dobbiamo vigilare perché dopo l’amnésia giudiziaria che ha permesso di cancellare le condanne a carico di Contrada, non ci siano altri passi indietro. Don Luigi Ciotti ha ricordato gli appunti scritti da don Puglisi poco prima di essere ucciso, appunti stesi in attesa di incontrare l’allora presidente della commissione antimafia, Violante: una scuola media, un consultorio, un asilo nido, una palestra. Dobbiamo fare più investimenti sugli strumenti che creano le condizioni per una vita libera e dignitosa a cominciare dalle scuole che devono essere oltre che sicure, belle. Abbiamo un lavoro da continuare

La relazione finale della Commissione Antimafia

Chi raccoglierà l’eredità di questa Commissione parlamentare Antimafia? A partire da oggi discuteremo e voteremo la relazione finale che traccia un bilancio di questi 4 anni di lavoro ed indica una strada sulla quale continuare. Intanto: la approvazione avviene a Camere sciolte, come é possibile che sia, lo sta facendo anche la Commissione ‘Banche’, ma questo fatto apparentemente banale é già in se’ una notizia, perché nel 2012 dopo aver lavorato sulle stragi di mafia per quattro anni la Commissione in allora presieduta da Pisanu RINUNCIO’ a votare la relazione conclusiva, che avrebbe imposto di mettere nero su bianco un giudizio politico su quei terribili accadimenti, adducendo come spiegazione proprio lo scioglimento delle Camere. Sulla questione stragi questa Commissione ha mantenuto gli impegni, da un lato ha rispettato e aspettato la conclusione del Capaci Bis e del Borsellino quater, ma dall’altro ha cominciato ad acquisire materiali e testimonianze utile: in particolare sono cominciati ad arrivare gli atti relativi ad Aiello, certamente morto il 21 Agosto del 2017, ma anche l’archiviazione sulla morte di Omar Pace. Continuo a pensare che il bandolo della matassa che bisogna riprendere per ordinare la materia sia senz’altro la sentenza di condanna di Dell’Utri divenuta definitiva dal 2015, qualunque cosa décida la CEDU, rispetto alla qualificazione del reato di concorso esterno. E questo vale anche per Matacena, la cui latitanza é finalmente messa in crisi sia dai progressi nella collaborazione giudiziaria tra Italia ed Emirati, sia dalla decisione di Speziali di patteggiare ed ammettere le proprie responsabilità.

Discorso del Santo Padre Francesco ai membri della Commissione Parlamentare Antimafia

Onorevoli Deputati e Senatori,

sono lieto di accogliervi e ringrazio la Presidente della Commissione, Onorevole Bindi, per le sue cortesi parole.

Anzitutto desidero rivolgere il pensiero a tutte le persone che in Italia hanno pagato con la vita la loro lotta contro le mafie. Ricordo, in particolare, tre magistrati: il servo di Dio Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990; Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi 25 anni fa insieme a quanti li scortavano.

Mentre preparavo questo incontro, mi passavano nella mente alcune scene evangeliche, nelle quali non faremmo fatica a riconoscere i segni di quella crisi morale che oggi attraversa persone e istituzioni. Rimane sempre attuale la verità delle parole di Gesù: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e contaminano l’uomo» (Mc 7,20-23).

Il punto di partenza rimane sempre il cuore dell’uomo, le sue relazioni, i suoi attaccamenti. Non vigileremo mai abbastanza su questo abisso, dove la persona è esposta a tentazioni di opportunismo, di inganno e di frode, rese più pericolose dal rifiuto di mettersi in discussione. Quando ci si chiude nell’autosufficienza si arriva facilmente al compiacimento di sé e alla pretesa di farsi norma di tutto e di tutti. Ne è segno anche una politica deviata, piegata a interessi di parte e ad accordi non limpidi. Si arriva, allora, a soffocare l’appello della coscienza, a banalizzare il male, a confondere la verità con la menzogna e ad approfittare del ruolo di responsabilità pubblica che si riveste.

La politica autentica, quella che riconosciamo come una forma eminente di carità, opera invece per assicurare un futuro di speranza e promuovere la dignità di ognuno. Proprio per questo sente la lotta alle mafie come una sua priorità, in quanto esse rubano il bene comune, togliendo speranza e dignità alle persone.

A tale scopo, diventa decisivo opporsi in ogni modo al grave problema della corruzione che, nel disprezzo dell’interesse generale, rappresenta il terreno fertile nel quale le mafie attecchiscono e si sviluppano. La corruzione trova sempre il modo di giustificare sé stessa, presentandosi come la condizione “normale”, la soluzione di chi è “furbo”, la via percorribile per conseguire i propri obiettivi. Ha una natura contagiosa e parassitaria, perché non si nutre di ciò che di buono produce, ma di quanto sottrae e rapina. È una radice velenosa che altera la sana concorrenza e allontana gli investimenti. In fondo, la corruzione è un habitus costruito sull’idolatria del denaro e la mercificazione della dignità umana, per cui va combattuta con misure non meno incisive di quelle previste nella lotta alle mafie.

Lottare contro le mafie significa non solo reprimere. Significa anche bonificare, trasformare, costruire, e questo comporta un impegno a due livelli. Il primo è quello politico, attraverso una maggiore giustizia sociale, perché le mafie hanno gioco facile nel proporsi come sistema alternativo sul territorio proprio dove mancano i diritti e le opportunità: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria.

Il secondo livello di impegno è quello economico, attraverso la correzione o la cancellazione di quei meccanismi che generano dovunque disuguaglianza e povertà. Oggi non possiamo più parlare di lotta alle mafie senza sollevare l’enorme problema di una finanza ormai sovrana sulle regole democratiche, grazie alla quale le realtà criminali investono e moltiplicano i già ingenti profitti ricavati dai loro traffici: droga, armi, tratta delle persone, smaltimento di rifiuti tossici, condizionamenti degli appalti per le grandi opere, gioco d’azzardo, racket.

Questo duplice livello, politico ed economico, ne presuppone un altro non meno essenziale, che è la costruzione di una nuova coscienza civile, la sola che può portare a una vera liberazione dalle mafie. Serve davvero educare ed educarsi a costante vigilanza su sé stessi e sul contesto in cui si vive, accrescendo una percezione più puntuale dei fenomeni di corruzione e lavorando per un modo nuovo di essere cittadini, che comprenda la cura e la responsabilità per gli altri e per il bene comune.

L’Italia deve essere orgogliosa di aver messo in campo contro la mafia una legislazione che coinvolge lo Stato e i cittadini, le amministrazioni e le associazioni, il mondo laico e quello cattolico e religioso in senso lato. I beni confiscati alle mafie e riconvertiti a uso sociale rappresentano, in tal senso, delle autentiche palestre di vita. In tali realtà i giovani studiano, apprendono saperi e responsabilità, trovano un lavoro e una realizzazione. In esse anche tante persone anziane, povere o svantaggiate trovano accoglienza, servizio e dignità.

Infine, non si può dimenticare che la lotta alle mafie passa attraverso la tutela e la valorizzazione dei testimoni di giustizia, persone che si espongono a gravi rischi scegliendo di denunciare le violenze di cui sono state testimoni. Va trovata una via che permetta a una persona pulita, ma appartenente a famiglie o contesti di mafia, di uscirne senza subire vendette e ritorsioni. Sono molte le donne, soprattutto madri, che cercano di farlo, nel rifiuto delle logiche criminali e nel desiderio di garantire ai propri figli un futuro diverso. Occorre riuscire ad aiutarle, nel rispetto, certamente, dei percorsi di giustizia, ma anche della loro dignità di persone che scelgono il bene e la vita.

Esortandovi, cari fratelli e sorelle, a portare avanti con dedizione e senso del dovere il compito a voi affidato per il bene di tutti, invoco su di voi la benedizione di Dio. Vi conforti la certezza di essere accompagnati da Lui che è ricco di misericordia; e la consapevolezza che Egli non sopporta violenza e sopruso vi renda instancabili operatori di giustizia. Grazie.

Su Rita Atria

Commovente il ricordo di Rita Atria da parte della dott.ssa Camassa. Ho chiesto alla dott.ssa Camassa, sentita oggi in Com Antimafia insieme al collega Russo, di rievocare il coraggio di Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia che ebbe la forza di rompere con la cultura di omertà mafiosa e affidarsi insieme alla cognata Piera Aiello al dott Borsellino. Ho espresso l’auspicio che il Senato approvi al più presto e senza modifiche la riforma del sistema tutorio dei testimoni di giustizia, una riforma che simbolicamente volemmo dedicare proprio a Rita Atria, che purtroppo si tolse la vita una settimana dopo la strage di via d’Ameglio. La riforma sostenuta da tutti i gruppi presenti in Com Antimafia è già stata votata all’unanimità dalla Camera. Infine abbiamo concordato in Commissione di chiamare appena possibile il direttore del Servizio Centrale di Protezione per approfondire le notizie di ieri: tre funzionari arrestati con l’accusa di aver sottratto denaro dalla cassa destinata alle esigenze di testimoni e collaboratori. Un fatto grave che dovrà essere valutato dell’autorità giudiziaria e che non deve in alcun modo mettere in dubbio la serietà professionale e la dedizione umana con la quale il personale del sistema di protezione interpreta normalmente il proprio delicatissimo ruolo

Mafia e calcio: bisogna essere TUTTI d’accordo?

Considerate le finalità della Commissione Antimafia, che non è una Corte Penale, il passaggio più drammatico della audizione dell’avvocato Chiappero per me è stato quello nel quale l’avvocato ha detto e ribadito con forza che per liberarsi dal ruolo di certi personaggi nel mantenimento dell’ordine pubblico dentro e fuori dallo Stadio bisognerebbe essere TUTTI d’accordo. Cosa intende l’avvocato? Sembrerebbe alludere ad un tacito patto trasversale che riguarderebbe anche le Autorità preposte alla gestione dell’ordine pubblico a tollerare la mediazione di personaggi di fatto influenti, più o meno legati alla criminalità organizzata. Una specie di ‘riduzione del danno’ come a dire che controllare è meglio che reprimere? Eppure gli strumenti esistono, a cominciare dalla denuncia di condotte più o meno larvatamente intimidatorie e ricattatorie

Mafia: da gennaio Antimafia a lavoro su vittime

(ANSA) – ROMA, 27 DEC – “Le parole della Presidente Maggiani Chelli meritano un approfondimento: a Gennaio proporrò di riaprire il V Comitato della Commissione Antimafia”. Lo dice il deputato Pd Davide Mattiello, che in commissione antimafia guida il V comitato sulle vittime di mafia, a proposito delle parole della presidente dell’ associazione delle vittime della strage di vira dei Gerorgofili che ieri ha detto che lo stato è “complessato verso la famiglia Riina” mentre i parenti delle vittime restano senza vitalizi. “Il nostro Paese – spiega Mattiello- si è dotato negli anni di diverse normative a sostegno delle vittime della violenza mafiosa, che dovrebbero offrire un’ampia tutela: dalla possibilità che sia lo Stato a risarcire il danno stabilito in sede civile in vece del mafioso condannato, alla possibilità di ricevere speciali elargizioni, vitalizi o l’assunzione nella PA qualora si abbia subito una invalidità permanente. Benefici che riguardano a certe condizioni la vittima sopravvissuta o i suoi più stretti famigliari. Le condizioni di accesso devono essere chiare e rigorosamente accertate per evitare abusi e danni erariali, ma questo non deve diventare un ostacolo a riconoscere situazioni sostanzialmente meritevoli e non può tradursi in attese che durano anni. Il V Comitato che coordino, si è fin qui occupato soprattutto di testimoni di giustizia, arrivando a proporre una riforma organica del sistema tutorio, sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari, attualmente all’attenzione della Commissione Giustizia della Camera; ora potremmo dedicare tempo ed energie alla questione delle vittime di mafia. Ha ragione la presidente Maggiani: la legge è uguale per tutti e se è doverosa l’attenzione per chi sconta una condanna, non certo minore – conclude – deve essere quella rivolta a chi il crimine l’ha subito”

Sostituire Rosy Bindi? Inutile e dannoso

(askanews) – “In Commissione antimafia non c’è alcuna discussione a riguardo. Non avverto questo problema. Coloro che hanno inteso mettere in circolazione questa voce, sono coloro che non hanno a che fare con la Commissione parlamentare antimafia e non stanno animando il dibattito all’interno della Commissione. Arrivati a questo punto, sostituire la presidente della Commissione sarebbe inspiegabile, perché sarebbe dannoso per tanti motivi”. Lo ha detto Davide Mattiello, deputato del Pd e membro della commissione antimafia, a Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano (www.unicusano.it). “Da quando si è insediata la presidente Bindi, la commissione antimafia ha lavorato più di qualunque altra commissione e i documenti parlamentari lo attestano – ricorda Mattiello -. Un esempio su tutti è lo scandalo della mala gestione sui beni confiscati alla mafia. La Commissione, appena insediata, ha aperto un’inchiesta proprio sui beni confiscati e le aziende confiscate alle mafie”.

Depositata oggi la proposta di legge per la protezione dei Testimoni di Giustizia

(ANSA) – 
La prima firma è della Presidente della Commissione Antimafia, on. Bindi, che ringrazio per il sostegno sempre assicurato a questo percorso: questo significa che la proposta di legge è proposta dalla Commissione Antimafia in quanto tale, con il contributo di tutti i gruppi. E’ un fatto che rappresenta la volontà comune a tutto il Parlamento di mettersi a servizio di quei cittadini onesti che decidono di non girarsi dall’altra parte e di ribellarsi al ricatto mafioso.
La proposta di legge traduce un lavoro cominciato nel maggio del 2014 con l’inchiesta coordinata dal V Comitato della Commissione, che ha prodotto una relazione votata all’unanimità il 20 Ottobre 2014 e successive discussioni parlamentari che ne hanno confermato le indicazioni.
Tra le novità più significative, le misure molto attese a tutela di quelle persone inserite in famiglie mafiose, ma estranee alla commissione dei delitti, che maturano la scelta di rompere e ricominciare altrove una vita nuova. Come sempre più frequentemente capita con donne coraggiose e i loro figli. Lo Stato sarà al loro fianco con più strumenti.
La proposta di legge è dedicata alla memoria di Rita Atria e Lea Garofalo. Il Governo e in particolare il Vice Ministro Bubbico hanno seguito con attenzione il lavoro fatto fino a qui e già domani pomeriggio ci incontreremo per approfondire i contenuti della proposta: un altro bel segnale, che induce a sperare in un iter parlamentare veloce. E’ ora che l’Italia riconosca in modo pieno la scelta di questi cittadini, garantendo soprattutto la normalità di scelte del genere: perché la legalità non deve essere questione di eroi, ma di ordinaria civiltà democratica.