Non con il mio voto (#acquabenecomune)

Non con il mio voto.
Avevo tolto la firma dalla proposta di legge e ieri non ho votato il testo.
Nel corso delle votazioni ho fatto altre due scelte in dissenso dal gruppo con il quale lavoro, perché mi è sembrato il modo simbolico con il quale rappresentare la mia posizione: votare a favore degli emendamenti 2.53 e 4.52.

“A tutela dei principi del diritto umano all’acqua e dei principi di precauzione e sostenibilità a tutela dell’acqua come bene comune pubblico, non è possibile sottoscrivere accordi di liberalizzazione nel settore dei servizi idrici che inibiscano la piena realizzazione di tale diritto e della sua tutela”

“La gestione del servizio idrico integrato è sottratta al principio della libera concorrenza, è realizzata senza finalità lucrative, persegue finalità di carattere sociale e ambientale, ed è finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché meccanismi tariffari. Il Governo provvede a conformarsi a quanto disposto dal presente articolo anche in sede di sottoscrizione di trattati o accordi internazionali”.

Peccato, perché la legge, alla quale hanno lavorato con competenza e pazienza tanti colleghi, contiene diversi elementi importanti (il riconoscimento del diritto all’acqua come diritto umano fondamentale, la proprietà pubblica ribadita tanto dell’acqua quanto degli impianti fondamentali per la sua gestione, la trasparenza sui costi).
La mia decisione è maturata anche in ragione di due fatti: la Commissione Bilancio ha condizionato il proprio parere favorevole all’abrogazione di quel “prioritariamente” che resisteva nel testo a sostegno della gestione pubblica del servizio idrico e parallelamente nessun segnale di disponibilità è arrivato dalla Ministra Madia rispetto al decreto legislativo sulla PA, nella parte che riguarda la gestione dei servizi. Insomma: la direzione è chiara. Progressivamente, magari lentamente, ma inesorabilmente la gestione del servizio idrico sarà assorbita nella logica del mercato globale. Le resistenze a vendere capitale ai privati delle società attualmente in tutto o in gran parte a capitale pubblico saranno a poco a poco vinte con le consuete apparentemente ragionevoli argomentazioni.

Ed è proprio questa “apparente ragionevolezza” che considero un errore politico grave. Sull’acqua, almeno sull’acqua, la politica dovrebbe fare esercizio di profezia e di poesia, che non sono categorie ridicole, da “anime belle” che non capiscono niente della gestione del potere. Sono categorie profondamente politiche: profezia e poesia c’erano nelle parole dei giovani imprigionati a Ventotene che nel momento di maggior forza del nazi-fascismo seppero dire pace ed Europa. Profezia e poesia c’erano nelle donne e negli uomini del 1946 che seppero dire Repubblica, abbandonando la Monarchia. Noi oggi viviamo un Mondo nel quale il mercato ha vinto e ha preteso, come sempre fa chi vince, di diventare misura di ogni cosa. Ma nessuna vittoria è per sempre e il Mondo di domani è quello che già germoglia nelle pratiche di economia del dono e della condivisione, dell’accesso e non della proprietà, del riuso, del riciclo, della accoglienza e della nonviolenza. E’ il Mondo che anche noi stiamo contribuendo a realizzare e Casa ACMOS, fondata nel 2001, resta tra le testimonianze più chiare di questo sforzo. Noi ci stiamo facendo carico del difficile esercizio di cerniera tra il Mondo di oggi e il Mondo di domani, cercando di non fare soltanto politica di profezia e poesia, ma anche politica di responsabilità e gestione delle Istituzioni. E’ un esercizio spesso lacerante, ma è il nostro compito.

Ritiro la firma dall’AC 2212 perché l’acqua è un “salva con nome”

Viviamo in un Mondo unificato dalla globalizzazione del mercato, dalla globalizzazione del terrore, che fatica a globalizzare libertà e diritti, tanto è vero che le diseguaglianze si acuiscono. In questo modo di fare Mondo però non c’è nulla di ineluttabile, basta avere la forza sufficiente e le cose cambiano. Per ora è molto più forte chi crede che il mercato debba regolare ogni aspetto della convivenza umana: il mercato ha vinto, c’è chi opera per farlo stravincere.

La Campagna referendaria del 2011 per me come per tanti è stata l’occasione per dire che non tutto può essere mercificato, che la vita non deve essere mercato, che l’acqua, che della vita è l’essenza, deve stare fuori dal mercato. Come profezia e scelta politica capace di rivendicare il valore del limite anche nel mercato, che soltanto così può essere una opportunità di libertà.

L’acqua deve stare fuori dal mercato, almeno l’acqua, perché diventi un “salva con nome”: qualcosa che ricordi a noi stessi che il denaro non può essere l’unico modo per ordinare la convivenza tra umani. La vita viene prima del mercato e non si risolve nel mercato.

Temo che la prospettiva verso la quale rischiamo di andare, considerando insieme la proposta di legge sulla gestione dell’acqua così come uscita dal voto in Commissione e il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, sia una prospettiva che, assimilando il servizio di gestione dell’acqua agli altri servizi analoghi, acceleri la costituzione di grandi società multiservizi che competano nel mercato globale della gestione delle risorse primarie, imboccando un piano inclinato che non sfuggirà alla logica “comprare/farsi comprare”.

L’acqua e la sua gestione andrebbero preservate da questa prospettiva: certi simboli servono a lasciare aperta la porta del possibile, proprio quando il reale sembra imporsi con l’evidenza del necessario.