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5 anni di impegno: il bilancio del mio mandato

E’ stato un quinquennio complicato, partito senz’altro quasi nel peggiore dei modi, tra non-vittorie, subitanee scissioni (Italia Bene Comune morta alla prima assemblea), Governi no-alternative, ma oggi posso dire che ne è valsa la pena e che è stato un privilegio servire le Istituzioni repubblicane.

Quello che si poteva fare, l’abbiamo fatto. Non tutto e non sempre come avremmo voluto, certo. Ma è stato fatto.

Sono grato a chi, avendo esperienza e competenze molto maggiori delle mie nella difficile gestione del processo parlamentare, ne ha determinato l’esito.

Se cliccate QUI potrete scaricare il quaderno che raccoglie questi 5 anni.

Grazie.

Davide Mattiello

Il Sindaco “spegne” la cantante che ha nel cuore i latitanti

 

Il Sindaco “spegne” la cantante che ha nel cuore i latitanti, ma la brace è tanta sotto la cenere: non va sottovalutata.
Ciò che ha fatto il Sindaco di Nardodipace, Demasi, non è scontato e non è facile: con una ordinanza ha annullato l’esibizione di Teresa Merante prevista per Sabato 13 Agosto a margine di una festa religiosa. La motivazione è chiara: “consiste nell’esibizione di tale Teresa Merante, nota per avere durante vari concerti cantato brani inneggianti la sottocultura mafiosa”.

Si legge che il provvedimento era stato caldeggiato anche dal Coordinamento di Libera di Vibo Valentia. Annullare questa esibizione significa ribadire in maniera formale e pubblica da che parte si sta e per un politico significa anche ribadire chi si vuole rappresentare e chi no, da chi si vogliono prendere i voti e da chi no. E’ una scelta conflittuale, di quel tipo di conflitto di cui vive la democrazia, perché la democrazia non è promessa di tranquillità, ma promessa di gestione “ordinata” del conflitto tra diversi modi di intendere la società, con un limite, non valicabile: quei modi di intendere la società che sono criminali e che in quanto tali non possono entrare nella concorrenza normale tra ipotesi, ma devono semplicemente e sempre essere censurati ed espulsi dal dibattito. Perché non sono modi tra gli altri, sono reati. Il modo mafioso di organizzare la società non è uno tra i modi possibili che in nome della libertà di pensiero può trovare cittadinanza nella pubblica conversazione: è un crimine. Così come lo è il fascismo, con buona pace dei nostalgici. In questi anni si sono però moltiplicate le situazioni che manifestano il continuo, rinnovato e talvolta spudorato, tentativo di legittimare la cultura mafiosa (così come quella fascista): pizzerie e ristoranti, cantanti neomelodici e non, profili social, gang giovanili, serie TV…hanno invaso l’immaginario collettivo, surclassando ed attualizzando il più antico e rituale dei modi di legittimare la mafia e cioè il così detto “inchino” durante le processioni religiose.

Sono tanti i motivi del successo di questa così detta sottocultura mafiosa, non è questo lo spazio adatto per approfondirli, ma tra questi uno è senz’altro la perdita di credibilità delle Istituzioni e della politica, che concorre con i ritardi, la corruzione, la inadeguatezza, l’assenza di risposte, l’esibita lotta di potere fine a se stessa, fino alla vera e propria collusione, ad alimentare la ricerca di altri “ordini” sociali, che riescono a farsi percepire come più affidabili ed efficaci, fondati sull’onore, sulla lealtà, sulla identità, sulla forza dell’appartenenza: roba da clan, roba da razza superiore. Mai come in questa campagna elettorale per le politiche del 25 Settembre, le parole saranno pietre: recuperare alla democrazia costituzionale almeno una parte dei fan fascio-mafiosi, sarà una bella impresa ed avrà a che fare con la credibilità delle persone che saranno in campo, più che con gli slogan da manifesto. Perché a parole sono più o meno tutti bravi e a dire che la “mafia fa schifo” non ci vuole molto: abbiamo avuto in questi anni fulgidi esempi in tal senso! La credibilità delle persone ha a che fare invece con le condotte tenute in una vita intera: non si trucca, non si improvvisa.

La Calabria è uno scrigno di queste storie credibili, ne o conosciute tante in questi anni di militanza sociale e politica, sono uomini e donne che non hanno mai ceduto allo sconforto anche quando ne avrebbero avuto più di un motivo, non hanno mai girato le spalle alla Repubblica, anche quando la legalità dello Stato sembrava più un groviglio soffocante che uno strumento di libertà. Per rispetto non ne cito nessuno di quelli viventi: ne tralascerei troppi. Ma almeno un “indirizzo” alla riflessione di chi sarà arrivato fino qui a leggere lo voglio dare: cercate la storia di Giuseppe Valarioti e troverete due tesori. La vita di un politico appassionato e con la schiena diritta, assassinato nel 1980 a Nicotera e un collettivo di giovani calabresi che nel suo nome si è organizzato per fare migliore la Calabria.

Natalonga per l’Europa: siamo arrivati a Ventotene

Foro di Davide Mattiello accanto al cartello ONEurope

Foro di Davide Mattiello accanto al cartello ONEurope

Siamo appena sbarcati sull’isola di Ventotene per la quarta edizione della Natalonga per l’Europa, organizzata da EuropaNow! in collaborazione con ACMOS e Benvenuti in Italia, dedicata quest’anno alla memoria di David Sassoli.

Arrivare qui dove gli anti fascisti hanno sofferto e resistito, dove hanno sognato la liberazione e preparato un futuro di democrazia e libertà, è sempre emozionante.

Arrivare qui nell’anniversario della strage di Utoya (22 Luglio 2011) lo è ancora di più: soltanto 11 anni fa un criminale neo-nazista massacrava a sangue freddo 69 ragazzi che avevano la sola “colpa” di appartenere alla gioventù socialista norvegese e di aver dedicato la loro estate a confrontarsi sui temi del pluralismo, della laicità e della democrazia in Europa.

Abbiamo un debito tanto grande nei confronti di quegli anti fascisti, quanto ce l’abbiamo nei confronti dei ragazzi di Utoya a cui il futuro è stato brutalmente negato e questo debito si salda in un modo soltanto: continuando a lottare contro ogni forma di dispotismo e di segregazione, difendendo l’Italia e l’Europa da ogni progetto autoritario e liberticida.

Anche per questo, dal 2019, lavoriamo perché l’UE diventi una Repubblica federale e siamo felici che siano sempre di più le città che adottano questo simbolo. A cosa serve nuotare per quasi due Km in mare aperto tra l’ergastolo di Santo Stefano e Ventotene, sfidando onde, correnti, meduse e smarrimento? A ricordarci che siamo fatti di pane, ma anche di rose.

Change.org: presidente Fico, spenga i condizionatori a Montecitorio

Foto di un fiume in secca

Ho lanciato questa petizione su change.org.

Guerra e crisi idrica senza precedenti stanno sottoponendo la maggior parte dei cittadini italiani ad impoverimento e gravi preoccupazioni.

La politica, che ha il dovere di guidare il popolo italiano in questa fase così tormentata, manifesta purtroppo tutta la propria inadeguatezza: la percentuale di astensionismo alle ultime amministrative sta lì a dimostrarlo.

Noi non vogliamo che la crisi si porti via anche la democrazia parlamentare, che consideriamo un arigine almeno potenziale alla liquidazione dello Stato di diritto fondato su uguali diritti ed uguali doveri, secondo il dettato della nostra Costituzione.

C’è bisogno di dare un altro segnale: prima di chiedere al popolo italiano nuovi sacrifici, fateli voi. Date il buon esempio.

Il Palazzo di Montecitorio d’estate è sempre artificialmente refrigerato: spegnete i condizionatori.

Sandro Pertini non si stancava di ripetere: i giovani hanno bisogno di buoni esempi, non di belle parole!

AGI: Mattiello, dopo parole Draghi servono scelte coraggiose

L’AGI riprende le mie parole, pubblicate da I Blog de Il Fatto Quotidiano.

(AGI) – Roma, 25 mag. – “Perche’ le parole di Draghi non siano retorica compiacenza, servono scelte urgenti e coraggiose, altrimenti avranno avuto ragione quei magistrati che stanno lanciando allarmi che paiono inascoltati”. Lo scrive su un blog pubblicato sul sito del “Il Fatto Quotidiano”, Davide MATTIELLO, attivista antimafia ed ex deputato.

MATTIELLO cita le dichiarazioni del presidente del Consiglio intervenuto a Milano al convegno sul ruolo della finanza nella lotta alla mafia: “Siamo all’avanguardia nella legislazione antimafia e nella protezione dei testimoni e dei loro familiari, uno strumento fondamentale per la giustizia sin dai tempi del maxiprocesso”.
“Vero. Forse il presidente Draghi – scrive l’ex deputato – utilizzando la parola ‘testimoni’ ha voluto fare riferimento tanto ai ‘testimoni di Giustizia’ cioe’ a quelle (poche!) persone perbene che, avendo subito un reato di mafia o avendone visto commettere uno, hanno deciso di denunciare anziche’ abbassare la testa o girarla dall’altra parte, quanto ai ‘collaboratori di giustizia’ cioe’ a quei delinquenti patentati – continua – che decidono di negoziare con lo Stato uno scambio tra informazioni utili alle indagini e benefici carcerari, strumento quest’ultimo fortemente voluto da Falcone, che ne affino’ l’efficacia collegandolo a precise scelte di politica carceraria (4 bis e 41 bis), e di estensione della confisca di prevenzione”.

Secondo MATTIELLO “questi strumenti da un lato non funzionano come dovrebbero (troppi ‘testimoni-testimoni’, vittime di estorsione, stanno pagando un prezzo insopportabile a causa delle tortuosita’ della burocrazia) e dall’altra rischiano di essere azzoppate da ‘riforme’ annunciate o mezzo-varate?”.
Infine, “l’orizzonte verso il quale muoversi per Draghi – conclude l’attivista antimafia – pare essere sintetizzato in questo passaggio: ‘semplifichiamo le procedure, miglioriamo il sistema di contrasto alle infiltrazioni, rafforziamo i controlli'”. (AGI)Nat

Sassari 1922: il mio nuovo libro dedicato a Berlinguer

La nuova “Cartolina” di Coppola Editore è

Sassari 1922. Caro Berlinguer, cento di questi giorni.

Il racconto è affidato a Davide Mattiello che parte dal 25 maggio 1922: il giorno in cui a Sassari nasceva Enrico Berlinguer. Lo stesso anno della marcia su Roma.

Il libro è una riflessione sulla libertà, una condizione fragile e mai scontata che dipende dalla parte che ciascuno di noi decide di interpretare.

La libertà, di cui la democrazia è manifestazione, muore di clientelismo e della corruzione che ne deriva. Berlinguer, in particolare nell’intervista rilasciata a Scalfari nel 1981, dimostra di averne chiara consapevolezza, tanto da definire questa “questione morale” il centro del problema italiano. Ed è di un’attualità impressionante.

Sassari 1922 sarà presentato il  19 Maggioalle ore 21:00, presso laBiblioteca civica Francone di Via Vittorio Emanuele II – Chieri (TO)
Con:
Davide Mattiello, presidente di Benvenuti in Italia
Paolo Furia, segretario regionale PD Piemonte

 

Il libro fa parte della collana “le cartoline”: frammenti di storia che raccontano anni e città dentro libri-cartolina, per lettori sempre in viaggio.

Autore: Davide Mattiello

Anno: 2022

Editore: Coppola Editore

Prezzo: 10,00€

 

La politica piemontese censuri il ricorso alla sottovalutazione ed alla ingenuità

L’arringa dell’avvocato Piazzese dovrebbe far riflettere la politica piemontese.

Almeno quella democratica. Almeno quella che avversa la mafia, i suoi voti, il suo potere di condizionamento e di intimidazione. Tanto più ora che stanno per andare ad elezione per il rinnovo di Sindaco, Giunta e Consiglio ben 93 Comuni, tra i quali tre capoluoghi come Asti, Alessandria, Cuneo e per quanto riguarda l’area metropolitana torinese, Comuni come Chivasso e Caselle. 

L’avvocato Piazzese difende Roberto Rosso dall’accusa di essersi accordato con due boss di ‘ndrangheta del calibro di Onofrio Garcea e Franco Viterbo per la campagna elettorale delle regionali del 2019. 

Ne fa una cronaca su La Stampa Giuseppe Legato, alla quale volentieri rimando (qui).

Sarà ovviamente il Tribunale a valutare sul piano penale gli argomenti adottati dall’avvocato Piazzese per salvare il suo assistito dalla condanna, ma rilevano per una più ampia riflessione perché da un lato ripropongono la solfa della “sottovalutazione”, della “ingenuità”, dall’altra aprono il vaso di pandora delle altrui condotte, in particolare quella di Bertot, ritenute, dall’avvocato, assai più gravi di quelle di Rosso eppure diversamente considerate ed in fine illuminano ancora una volta la vicenda di Domenico Garcea per il quale in verità sarebbero stati raccolti i voti dai cugini mafiosi. Povero Rosso, verrebbe da dire: cornuto e mazziato. Accusato di voto di scambio, lui che i voti li avrebbe pagati per davvero, e per di più frodato dai mafiosi (altro che “uomini d’onore”!!) che avrebbero preso i soldi, ma poi avrebbero votato e fatto votare l’attuale vice presidente vicario del Consiglio Comunale di Torino e membro della Commissione legalità, Domenico Garcea, mai indagato per questi fatti. 

La politica piemontese, a prescindere dalle valutazioni dei Tribunali, dovrebbe una volta per tutte censurare il ricorso alla “sottovalutazione” ed alla “ingenuità”. Dopo l’assassinio di Bruno Caccia nel 1983, dopo l’ondata di inchieste e condanne innescate più recentemente dall’operazione Minotauro nel 2011, non è possibile fare spallucce: la mafia c’è, fa grassi affari non soltanto nel campo dell’edilizia, cerca di condizionare le campagne elettorali ed ha agganci altolocati anche con ambienti insospettabili. Bisogna pretendere un livello altissimo di attenzione nella individuazione delle candidature e nella conduzione delle campagne elettorali. Cosa pensano di fare i partiti (movimenti inclusi) in vista delle comunali?

Infine, non so se l’arringa dell’avvocato Piazzese servirà a scagionare Roberto Rosso dalle accuse, ma mi pare che intenda porre almeno un dubbio di carattere generale: come mai condotte apparentemente analoghe, hanno ricevuto attenzioni tanto diverse? Eppure la legge dovrebbe essere uguale per tutti e l’azione penale obbligatoria. 

12 Marzo: a 30 anni dall’assassinio di Salvo Lima, qualche considerazione sul voto di scambio politico mafioso

Quando venne avvertito dell’omicidio di Salvo Lima, Giovanni Falcone commentò: “Ora può succedere di tutto”.

Non si sbagliò nemmeno in quella circostanza Giovanni Falcone, che intuì subito la portata di quel fatto: fu l’inizio della vendetta di Cosa Nostra devastata dalla sentenza di Cassazione del 30 gennaio 1992, che confermando l’impianto accusatorio del maxi processo, sgretolava il mito della impunità di Cosa Nostra e svelava anche il logoramento definitivo del rapporto tra Cosa Nostra e un pezzo di Stato.

In quella stessa tragica estate il Parlamento aggiunse al Codice Penale l’art. 416 ter per punire espressamente la relazione tra mafioso e politico nel momento delle elezioni: il decreto legge dell’8 Giugno, veniva convertito in legge il 7 Agosto, con l’Italia tramortita dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Il reato di voto di scambio politico mafioso veniva “infilato” nel Codice Penale esattamente dieci anni dopo che il Parlamento a fatica ci aveva infilato il 416 bis, anche in quella circostanza soltanto dopo i brutali assassini di Pio La Torre e di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Una norma importante per stigmatizzare l’essenza stessa della pericolosità delle mafie: l’eversione dell’ordine democratico attraverso il sistematico inquinamento dell’esercizio democratico del potere, a cominciare dalla selezione dei rappresentanti del popolo sovrano.

Una norma intelligente perché capace di isolare tra le condotte che alimentano la forza delle mafie, quella più odiosa cioè quella del politico che pur di vincere ne evoca e ne legittima il potere.

Una norma scritta in maniera poco efficace (sarebbe interessante recuperare gli atti parlamentari, ma non è questa la sede) chissà se per superficialità, fretta o malizia soprattutto perché la consumazione del reato avrebbe preteso di essere dimostrata dalla prova della “dazione di denaro”. Ora quale politico può essere così scellerato da mettere in una busta il prezzo del servizio mafioso di procacciamento di voti? Ed infatti dal 1992 pochi furono quelli condannati per 416 ter!

A partire dal 2013 e fino al 2019 l’articolo è stato sottoposto ad una profonda revisione parlamentare attraverso successivi interventi che lo hanno modificato significativamente, rendendolo complessivamente più adeguato. Di questo lungo travaglio politico mi sono trovato ad essere uno dei protagonisti, essendo stato il relatore del provvedimento per la maggioranza alla Camera tra il 2013 ed il 2017. Le pressioni per fare della riforma un radicale annacquamento furono formidabili e credo non meno impressionanti furono le tensioni che portarono alle (per ora definitive) modifiche intervenute nella XVIII Legislatura ed entrare in vigore a Giugno del 2019. Non è questa la sede per ripercorrere i motivi e gli effetti dei vari interventi, c’è però lo spazio per chiarire ad ogni buon conto almeno due caratteristiche della fattispecie che dal 2014 NESSUNO ha più rimesso in discussione. La prima: l’allagamento della “platea” delle condotte penalmente rilevanti ovvero il reato si intende commesso non soltanto quando in cambio dei voti viene dato del denaro, ma quando in cambio dei voti il politico offre qualsiasi tipo di utilità al mafioso. La seconda è altrettanto importante e consiste nella anticipazione della consumazione del reato al momento dello “scambio delle promesse”, cioè al momento dell’accordo tra le parti. In altri termini: provare la successiva dazione di denaro o la effettiva realizzazione di altre utilità può soltanto spingere più in avanti il momento della conclusione della condotta criminale (soprattutto a beneficio del calcolo della prescrizione), ma il reato è perfettamente posto in essere quando le parti si accordano nella consapevolezza del reciproco ruolo ricoperto in commedia. 

Ultima considerazione: nell’accordo tra le parti è sempre chiaro cosa debba fare il mafioso, meno chiaro cosa dovrà fare il politico soprattutto se eletto anche grazie ai voti del mafioso. Il concetto di “altre utilità” è ampio, reso ancora più ampio dal concetto di “disponibilità” introdotto a Giugno del 2019 e sta sicuramente alla sagacia di magistrati ed investigatori coglierne la portata, declinando la norma astratta e generale, dentro ai fatti concreti e sorprendenti nei quali ci si imbatte. Su questo ultimo punto mi permetto, in conclusione, di sottoporre al pubblico giudizio una modesta ipotesi: qualora il politico che beneficia dell’accordo elettorale fosse un noto parente del noto mafioso che si attiva per la sua campagna elettorale, l’utilità conseguente alla sua elezione non sarebbe dimostrata “in re ipsa”, dal fatto stesso che il cognome della nota famiglia mafiosa riceverebbe il blasone di uno scranno istituzionale? Una sorta di complemento oggetto interno, tipo “ho sognato un sogno”, che tradotto nell’onirico mafioso potrebbe suonare: “Ho sognato mio cugino Sindaco!”. E forse non è soltanto la trama di un film di Cetto Laqualunque!

Domenico Garcea: facciamo chiarezza attraverso le carte

Abbiamo posto semplicemente (!) una questione di opportunità politica e di coerenza morale, abbiamo auspicato semplicemente (!) una presa di posizione netta. Abbiamo ottenuto reazioni spudoratamente mendaci. Ma c’è sempre tempo e forse una più meditata lettura di questi stralci potrà aiutare:

 

Per approfondire il caso leggi i miei precedenti articoli

 

 

Garcea: il campo che ho indicato è quello del politicamente inopportuno e del moralmente ripugnante

Sulla infausta nomina del Consigliere comunale Domenico Garcea nella Commissione speciale “Legalità” del Comune, alcuni ulteriori spunti di riflessione. E qualche domanda. 

A coloro che si sono indignati (!) per quello che ho scritto, riempiendosi la bocca di presunto “garantismo” rispondo: che c’entra! O siete ignoranti o siete in mala fede. Il “garantismo” attiene al campo del penalmente rilevante che io ho esplicitamente escluso rispetto alla vicenda, fino a prova contraria. Non è una colpa di per sè avere un parente delinquente. Il campo che ho invece indicato è quello del politicamente inopportuno e del moralmente ripugnante.

A coloro che mi hanno chiesto come mai sollevassi questa questione di opportunità ora e non quando Domenico Garcea è stato nominato vice-presidente del Consiglio comunale rispondo: l’inopportunità politica è relativa alla specifica responsabilità ricoperta. Di cosa si occuperà la Commissione speciale “Legalità” del Comune di Torino? Anche di studiare le più rilevanti inchieste giudiziarie aperte negli ultimi anni, che riguardano precisamente la presenza della ‘ndrangheta sul nostro territorio, gli affari e le collusioni con la politica, al fine di elaborare ipotesi di provvedimenti utili a prevenire e contrastare il fenomeno. Tra queste inchieste c’è sicuramente quella composta da “Carminius” e “Fenice”, nella quale si ritrovano proprio i protagonisti di questa vicenda. 

A coloro che mi hanno chiesto: ma che ti aspetti? Che Domenico Garcea venga escluso dalla Commissione? Rispondo: no, mi aspetto prima di tutto una cosa molto più semplice, presupposto di ogni altra eventuale considerazione e cioè che dica la verità, pubblicamente, come si conviene ad un politico che non voglia essere tacciato di reticenza. La verità su cosa? E così arrivo alle domande.

Domenico Garcea è cugino di Onofrio Garcea, patentato dalla Cassazione come ‘ndraghetista di primo piano?

Domenico Garcea ha uno zio che si chiama nello stesso modo del cugino, Onofrio Garcea, fratello del padre Raffaele: in almeno due post ha fatto riferimento a questo parente, come a suggerire uno “scambio di persone”?

Domenico Garcea intende dissociarsi dalle condotte criminali del cugino, condannandole apertamente?

Domenico Garcea esclude che il cugino si sia interessato alle sue campagne elettorali?

Domenico Garcea cosa pensa della ‘ndrangheta?

A cosa servirebbero risposte chiare a queste domande? A preservare la credibilità della Istituzione, in questo caso la Commissione speciale “Legalità”, perché la credibilità delle Istituzioni è fatta dalla reputazione di chi le incarna temporaneamente e la reputazione di una persona si nutre anche delle posizioni assunte pubblicamente su temi delicati.

Domenico Garcea decida se ispirarsi a Peppino Impastato o a Lucia Riina.

Inopportuno che Domenico Garcea faccia parte della Commissione Legalità del Comune di Torino

Dare conto pubblicamente delle proprie posizioni non va più di moda, a quanto pare. 

Un buco nell’acqua provare a chiedere a Salvini se ritenga di prendere le distanze dall’amico Putin, idem quando si chiede al Presidente Cirio di censurare le posizioni assunte dall’assessore Marrone a supporto dei separatisti filo russi del Donbass…Chissà se si riuscirà a cavare una parola chiara almeno dal consigliere comunale Domenico Garcea, eletto a Torino nelle fila di Forza Italia ed appena nominato componente della Commissione consigliare speciale “legalità” del Comune.

Il Consigliere Domenico Garcea, mai nemmeno indagato per i fatti a cui mi riferisco, è cugino di Onofrio Garcea, condannato in primo e secondo grado per voto di scambio politico mafioso in esito del processo celebrato con rito abbreviato, scaturito dalla indagine denominata Fenice (proprio la stessa che ha portato all’arresto dell’Assessore regionale Roberto Rosso), che ha avuto ad oggetto la campagna elettorale per le regionali del 2019, alle quali Domenico era stato candidato sempre da Forza Italia. Allora Domenico non venne eletto, piazzandosi alle spalle di Tronzano con un ragguardevole numero di preferenze: oltre 700.

È un fatto che Onofrio Garcea sia ‘ndraghetista patentato dalla Cassazione, che ha reso definitiva la condanna a 7 anni e 9 mesi in esito al processo Maglio 3 celebrato a Genova, ritenendolo capo dell’articolazione genovese della ‘ndrangheta fino al 2012.

È un fatto, chiaramente deducibile dalle motivazioni della sentenza di primo grado che Onofrio Garcea ed il suo sodale criminale Francesco Viterbo si interessarono assai alla campagna elettorale di Domenico.

È un fatto che Domenico abbia una sorella, Chiara.

È un fatto che Chiara, sorella di Domenico e cugina di Onofrio fosse anche (almeno al tempo) la fidanzata di quest’ultimo.

È un fatto che Chiara si sia data un gran da fare per la campagna elettorale del fratello e che ne abbia parlato più volte con il cugino-fidanzato.

È un fatto che Chiara fosse non soltanto consapevole della caratura criminale del cugino-fidanzato, ma che ne fosse tanto orgogliosa. Agli atti resta la più iconica dichiarazione d’amore che in materia ci si possa aspettare di leggere: “Io sono andato a prendermi un uomo con i coglioni! Un uomo che sapevo che ci aveva a che fare con chi ci aveva a che fare! Eh! Un uomo che quando entrava in un locale, sapevo che gli aprivano le porte! Non un coglione del cazzo! (…) Ascolta sei tu quello che fa lo ‘ndranghetista!” Puro amore insomma!

Non risulta alla Procura che Domenico fosse a conoscenza del sostegno realizzato dal cugino, sollecitato dalla sorella e per questo Domenico non è stato, ripeto, nemmeno indagato.

Tutto ciò posto, abbiamo imparato che il perimetro del penalmente rilevante NON coincide con quello del politicamente inopportuno e NON coincide con quello del moralmente ripugnante.

I giudici fanno il loro mestiere che non risolve il mestiere di chi fa politica.

Considerati gli stretti legami famigliari tra Onofrio, Chiara e Domenico Garcea a me pare inopportuno che proprio quest’ultimo sia stato chiamato a comporre la Commissione Legalità del Comune di Torino. 

Sarebbe quanto meno necessario che Domenico prendesse pubblicamente le distanze da questi fatti, condannandoli esplicitamente: ad un politico è legittimo chiedere la parola ed il politico ha sempre la responsabilità di scegliere tra reticenza e chiarezza.