Fare dell’Europa una Repubblica: la sfida della nostra generazione

Fare dell’Europa una Repubblica
Fondata sull’uguaglianza di diritti e doveri
È la sfida della nostra generazione
È promessa di giustizia e libertà

Per il lavoro
Perché oggi dentro l’Unione europea ci si fa concorrenza sleale: la Repubblica d’Europa avrà un solo sistema fiscale. Perché l’Unione Europea debole non protegge abbastanza dalle bordate della speculazione finanziaria e delle altre potenze economiche globali. La Repubblica d’Europa avrà la forza di rinegoziare le regole del mercato mondiale.

Per l’ambiente
Perché la crisi climatica non può essere affrontata dai singoli stati nazionali. La nube radioattiva di Chernobyl non si è fermata alla frontiera! La Repubblica d’Europa avrà la forza per dare al Pianeta e a tutti noi una speranza, cominciando da politiche energetiche ancora più integrate e sostenibili.

Per l’umanità migrante
Perché è l’Europa tutta che deve farsi carico dell’umanità che scappa da guerra e miseria, provvedendo a soccorrerla e ad accoglierla. La Repubblica d’Europa avrà un sistema solo di integrazione e una sola politica estera e di cooperazione 

Contro i nazionalismi
Che sono falsi e pericolosi: promettono che a chiuderci in casa staremo meglio, la verità che aumenterà la competizione e si scatenerà la guerra. I nazionalismi meschini e criminali non hanno niente di serio da proporre per la crisi ambientale, per la crisi sociale scatenata dalla globalizzazione, anzi: cavalcano queste crisi per stupide rendite elettorali di breve periodo. 

Contro la mafia
Che è organizzazione criminale trasnazionale per natura e per arricchirsi ha bisogno di Istituzioni internazionali deboli o meglio ancora inesistenti. L’unione europea in questi anni ha fatto tanti passi nella direzione giusta di una sempre maggiore integrazione di forze di polizia, magistratura e apparati informativi: guai a tornare indietro! Gli assassini di Daphne Caruana Galizia e Jan Kuciak tracciano la strada da continuare.

Per fare dell’Europa una Repubblica ci vuole una Italia liberata dai nazional-supini, Lega-5Stelle, una Italia che faccia politica tenendo ben saldi i valori della Carta Repubblicana e che lavori impiegando le migliori energie con le Istituzioni europee affinchè il Parlamento europeo apra al più presto una nuova fase costituente che dia all’Unione europea un progetto di Costituzione repubblicana e federale.
Una legge
Un sistema fiscale
Un sistema di protezione sociale
Una politica estera
Una politica ambientale
È molto difficile… non troppo difficile!

Ricordare Roberto Antiochia, leggendo le parole della mamma

Oggi a Palermo vengono ricordati Cassarà e Antiochia, poliziotti assassinati dalla mafia il 6 Agosto del 1985.

La mamma di Roberto Antiochia, Saveria (*), scrisse una lettera durissima al Ministro dell’Interno, Oscar Luigi Scalfaro, pubblicata da Repubblica il 22 Agosto, vi prego di dedicare a questa lettera l’attenzione che merita:

SIGNOR ministro degli Interni, ho letto e riletto le sue parole e i suoi giudizi su quanto accade a Palermo e le scrivo per dirle che il mio dolore di madre è diventato anche rabbia, la stessa rabbia dei poliziotti di quella città. Ho visto anch’io cose penose a Palermo e, in particolare, escludendo l’accorata sincera umanità del presidente Cossiga, mi è pesata la presenza dei soliti coccodrilli di Stato all’ ennesima funzione in morte di un poliziotto. Parlo del funerale di mio figlio Roberto. Aveva 23 anni, la sua breve stagione si è conclusa con una raffica di mitra. Aveva lasciato gli studi, la nostra casa, prospettive di lavoro con il fratello maggiore, per entrare con grande entusiasmo in polizia. Aveva un ideale di giustizia e di legalità, sperava di dare un volto nuovo e più efficiente alla polizia, credeva di poter combattere malavita e mafia, credeva di poter migliorare questa società corrotta e degradata. PER un anno e mezzo a Palermo aveva lavorato con Cassarà e Montana. Le difficoltà, la solitudine, la precarietà della Squadra mobile invece di scoraggiarlo avevano aumentato il suo attaccamento al lavoro, ai superiori amici, ai colleghi, molti dei quali erano diventati per lui come fratelli. Era stato trasferito a Roma a fine dicembre 1984, per accontentare la fidanzata e me, che non ce la facevamo più a vivere con tanta ansia e paura. Era rimasto però con gran parte del suo cuore a Palermo dove tornava in licenza e, alla fine, pure in ferie. Ci era tornato per i funerali di Montana e aveva chiesto di riprendere temporaneamente servizio a Palermo, rendendosi conto della situazione disperata, pericolosissima. Sapeva che il suo governo e il suo ministero, come sempre lontani mille miglia, avrebbero prodotto solo parole. La Squadra mobile e i pochi funzionari rimasti erano soli. Cassarà in prima linea. Non gli era stata affidata l’ inchiesta sull’ assassinio di Montana, chissà perchè. Non gli era stata messa una camionetta, che dico, un solo agente di guardia sotto casa. Mancavano sempre i mezzi, a quanto pare. Cose strane sono accadute a Palermo in quei giorni. Un giornalista di “Repubblica” le ha chiesto, signor ministro, perchè a Palermo lo Stato avesse un “esercito di cartapesta”. Forse perchè fa comodo a molti, rispondo io. Giusto, signor ministro, niente bugie di Stato, e lasciamo anche da parte la retorica sul sacrificio fatto per servire lo Stato. Mio figlio è morto per la Squadra mobile di Palermo, per la sua Squadra mobile. E’ morto nel volontario, disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po’ di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli, in ben altra proporzione, sapendo quanto fosse preziosa la sua opera e in quale tremendo pericolo fosse la sua vita. Per questo provo tanta amarezza e tanto rancore verso questo potere governativo cieco e sordo, che raramente mantiene le sue promesse, che è pronto, rapido e efficiente per i decreti “Berlusconi” o per trovare i fondi che raddoppiano il finanziamento dei partiti, mentre manda a morire indifesi, per carenza di mezzi e di volontà, uno dopo l’ altro, gli uomini migliori delle forze dell’ordine e della magistratura. Con questo Stato la lotta contro la mafia è davvero impari. Anche lei fa parte di quel potere governativo, signor ministro. Ha fatto bene a non venire da me al Duomo di Palermo, non avrei potuto stringerle la mano e tanto meno lo potrei oggi. Lei ha scoperto solo adesso quello che succede a Palermo: le due Questure, la Squadra mobile isolata e con mezzi assolutamente inadeguati, le infiltrazioni mafiose. Ma, mi scusi signor ministro degli Interni, lei dove vive? Di quali Interni si è occupato in questi anni del suo incarico? Come fa a non sapere quello che la maggioranza degli italiani conosce da tanto tempo perchè ripetutamente denunciato dai magistrati, dai dirigenti della polizia siciliana? Non legge i giornali, non guarda la Tv? Davvero lei adesso si sta informando? Davvero ha ancora bisogno di relazioni ministeriali per sapere? NIENTE bugie di Stato, ma non solo per la morte del giovane Marino. Niente bugie di Stato, signor ministro, anche sulle ragioni della contestazione dei poliziotti. Lei dice che è avvenuta solo a causa delle sospensioni e dei trasferimenti da lei decisi. E invece quella contestazione, fatta da un gruppo di uomini generosi, capaci e coraggiosi, ma ormai esasperati e delusi, viene da lontano. Viene da anni di lavoro durissimo e rischioso, in condizioni sempre più precarie. Viene da vane speranze, da promesse disattese. Viene da quel tragico corteo di morti, di colleghi e superiori barbaramente uccisi. Niente bugie di Stato, lei non vuole sentirsi dire che ha decapitato la Squadra mobile con quei trasferimenti, dice che è falso perchè è stata affidata a un funzionario esperto. Non dubito che quel funzionario sia ottima e capace persona, ma ha dichiarato lui stesso, proveniente da Firenze, di non conoscere nemmeno le strade di Palermo. Lei parla di sue decisioni sofferte, ma la sofferenza la lasci a noi che abbiamo avuto i morti. Lei dice che avrebbe dovuto dimettersi se non avesse agito in quel modo. Forse avrebbe fatto meglio, invece ha scelto di “dimettere” subito, e senza certezza di colpa, persone che non hanno poltrone preziose come la sua. Niente bugie di Stato, lei accetta l’ipotesi di infiltrazioni mafiose, forse in Questura, forse nella Squadra stessa. E allora che fa? Si accontenta di essere stato bravo a capire? Se ci sono ce le teniamo queste spie? Sono anni che vengono denunciate, pensiamo alla morte di Boris Giuliano, alla morte annunciata di Rocco Chinnici. E la mafia non avrà calato la sua mano pesante anche nella strana vicenda che ha portato alla morte di Marino? Che tragedia, signor ministro, e quanto grande e terribile è la sua responsabilità. Ho vissuto vicino a mio figlio in questi anni, ho soggiornato spesso a Palermo, ho conosciuto funzionari e colleghi. Ho visto che non avevano le macchine chieste da più di un anno, ho visto le alfette da inseguimento della Squadra mobile rattoppate, malridotte e riconoscibili anche dai bambini. Ho visto gli agenti usare le macchine personali o farsele prestare dagli amici. Ho visto disputarsi l’intera Squadra l’unico binocolo a disposizione. Ho visto i funzionari pagare gli informatori di tasca loro. Sono solo esempi, piccoli esempi di una grande sordità. Se lei fosse stato meno preoccupato per la sua incolumità, il 7 agosto, al Duomo di Palermo, avrebbe sentito in mezzo alle proteste degli agenti le nostre voci disperate. Quella di Assia, la fidanzata di Montana, la mia, quella di Cristina, la fidanzata di mio figlio, quella di Alessandro, ma soprattutto quella di Roberto dalla sua bara. E ora vada pure a dormire tranquillo, signor ministro, recitando le sue preghiere. Io non ci riesco più, me lo impedisce il mio dolore e una rabbia che non è solo mia.

di SAVERIA ANTIOCHIA (* per anni entrando nella sede di Libera a Roma la prima cosa che incontravo era il suo ritratto, perchè Saveria di Libera è stata una delle anime più forti ed indimenticabili)