Il Balon di tutti e per tutti

Purtroppo, nella seduta del Consiglio Comunale di lunedì 28 gennaio 2019, è andata in scena l’ennesima puntata di un triste storytelling: il mercato di libero scambio come offesa al decoro della Città, come provocatoria disobbedienza, contro la fermezza dell’Amministrazione comunale, che vuole Il Barattolo fuori dal perimetro del centro storico.
Prendiamoci un po’ di tempo per ricostruire questa storia.
Borgo Dora, il Balon, il Maglio, il perimetro largo di Porta Palazzo sono da sempre luoghi di arrivo e di scambi: lo sanno i torinesi da generazioni che sanno ancora pronunciare “il merca’ d’le pate e dei pui” (degli stracci e delle pulci), lo sanno i torinesi immigrati dal Sud d’Italia, lo hanno imparato velocemente i nuovi torinesi. Lì incontri e lì trovi: gli altri, i paesani, i conterranei, quelli di qui. E trovi qualcosa di cui riconosci il valore e qualcosa che ha valore solo perché ti serve e costa poco.
Questa storia, a cavallo di due secoli, non è proprietà di nessuno, perché è parte di tutti, di chi c’era e di chi c’è oggi. Se abiti vicino al Balon sai che lì c’è un mercato, forse hai scelto di viverci per quello e la proprietà del tuo alloggio non è una buona ragione per diventare proprietario di una storia collettiva e pretendere di cambiarla, escludendo qualcun altro.
Eppure sta succedendo: il Balon, anziché restare storia comune, è conteso come un copyright, il luogo di incroci è rivendicato da perimetri e sbarramenti, l’economia informale è rappresentata come illegalità o come qualcosa di poco dignitoso. Eppure le persone continuano ad andarci, quelli “in”, che lo frequentano perché sanno riconoscere merci che gli espositori hanno raccolto come rifiuti, e quelli “out” che cercano ciò che non avrebbero i mezzi per acquistare altrove.
L’esistenza di una clientela (quindi di una utilità del libero scambio) non può essere negata; infatti i sostenitori del trasferimento pretendono di convincere sull’equivalenza tra canale Molassi e via Carcano. Gli espositori sanno che non è la stessa cosa, lo spirito dei luoghi non è lo stesso, le famiglie non sono le stesse, non è uguale ciò che si trova nei dintorni, dai negozi di antiquario alla ristorazione.
Certo, qualcosa nel tempo è cambiato: fisionomie, dialetti, lingue, odori, sia dei clienti sia dei venditori. Ma non può essere questo il motivo di tanta ostilità, perché alla pubblica amministrazione non è consentito discriminare. Sono cambiate le forme: l’anarchia del tappeto steso a terra è stata sostituita dagli spazi assegnati, all’interesse per le proprie cose si è affiancata la preoccupazione per la pulizia dell’area, all’aspettativa del guadagno si è aggiunto il dovere di partecipare alle spese.
Tutto ciò è avvenuto grazie al lavoro di relazione di un’associazione nata per volontà del Comune di allora e per disponibilità di tanti, anche residenti. Oggi a quella associazione si dice: non sei in grado di obbligare al trasferimento, non sai contrastare le preoccupazioni e le resistenze, quindi sei complice della disobbedienza e del disordine.
Nel frattempo il Comitato Oltredora, Eco Città e I love Suq – residenti e frequentatori dell’area di libero scambio – hanno raccolto più di 3000 firme perché resti nella sua sede storica.
Per favore, fermiamoci. Su alcune questioni c’è la disponibilità di tutti: dal riordino dell’area di San Pietro in Vincoli al perfezionamento degli spazi in canale Molassi. Se il rispetto verso i bisogni e le opinioni è condiviso, se tutti percepiscono l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, se ciascuno riconosce la buona fede dell’altro e nessuno approfitta delle contraddizioni per i propri fini, allora si può fare.
Non si dica che confondiamo per motivi politici il Balon e Il Barattolo. Semplicemente pensiamo che non possano esistere l’uno senza l’altro, per le ragioni che abbiamo spiegato. Se giustamente si sostiene di non voler fomentare uno scontro sociale, si riconsideri ora quella che è stata definita una “decisione irrevocabile”.
Su Canale Molassi fermiamo le ordinanze e promuoviamo il confronto, invece di escludere e confinare costruiamo una sede in cui la Città garantisca la composizione dei diversi interessi o, almeno, la loro espressione.
Non si governa una situazione complessa col pugno di ferro, nemmeno quando si gode di una maggioranza istituzionale, perché si può vincere in aula e perdere nella società.

Firma la petizione qui

Eleonora Artesio (Capogruppo Torino in Comune – La Sinistra)

Ilda Curti

Marco Grimaldi (Consigliere Regionale Liberi e Uguali)

Francesco Tresso (Lista Civica per Torino)

Michele Berghelli (Consigliere Circoscrizione VII)

Juri Bossuto (Consigliere Circoscrizione II)

Chiara Foglietta (Consigliera Partito Democratico)

Silvja Manzi (Radicali Italiani)

Chiara Acciarini (ex Deputata e Sottosegretaria)

Dunia Astrologo (Direttrice Istituto Gramsci Torino)

Gianluca e Massimiliano De Serio (registi)

Marta Levi

Marco Magnone (scrittore)

Ugo Mattei (professore di diritto internazionale all’Università della California di San Francisco e professore di diritto privato all’Università di Torino)

Davide Mattiello (presidente della Fondazione Benvenuti in Italia)

Marco Novello (Presidente Circoscrizione V)

Francesco Pallante (professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino)

Giuseppe Piras (Architetto)

Alberto Re (Consigliere Circoscrizione I)

Fabrizio Vespa (giornalista scrittore)

Hamid Ziarati (scrittore)

 

Elena Actis (art worker presso Hub Cecchi Point)

Angelo Artuffo

Massimo Arvat (filmaker residente di Borgo Dora)

Ilaria Boccia

Cristina Cappelli

Emanuela Capurso

Anna Catella

Lucia Centillo

Maurizio Cilli (architetto)

Sergio Fergnachino (utente mercato)

Sandra Giannini (architetta abitante di Borgo Dora)

Santiago Gomes (architetto)

Simona Guandalini

Ottavia Guercio (residente di Porta Palazzo)

Silvia Guerra (Esperta di sviluppo locale)

Cecilia Guiglia (residente di Porta Palazzo)

Karl Krähmer (studente)

Filippo Leonardi

Daniela Lusso

Gigi Malaroda

Giuseppe Marabita (artista del circo)

Emanuele Maspoli

Hélène Monjarret

Chiara Mossetti (architetto, residente di Porta Palazzo)

Lara Mottola (consigliera OCT)

Matteo Nobili (fisico, residente di Porta Palazzo)

Michele Noce (operatore sociale Hub Cecchi Point)

Ivano Podestani (residente di Porta Palazzo)

Giorgio Salza

Irene Salza (insegnante, abitante di Porta Palazzo)

Chiara Sampietro

Paolo Sanna (abitante di Porta Palazzo)

Pinto Maria Angela

Carlo Salone (docente di Geografia Università di Torino)

Luciano Strasio (Circo Luce)

 

Riccardo Tavernari (professionista)

Maria Testore (residente di Porta Palazzo)

Alexis Tsoukias

Silvia Venturini (abitante di Porta Palazzo)

Ilaria Vetrano (abitante di Porta Palazzo)

Andrea Viali (fonico)

Federico Vozza

Francesca Zaltron (abitante di Porta Palazzo)

Associazione fuori di palazzo

Associazione Bizzeffe

Cohousing numero zero

Per la pace, quindi per l’Europa

Quando diciamo che il nostro primo impegno sarà quello di salvare l’Europa da chi la vuole liquidare, diciamo una cosa sacrosanta, che rischia però di essere fraintesa. Ci sono tante persone che hanno sofferto più di altre in questi anni la crisi economica e che attribuiscono all’Europa la responsabilità di questa ingiusta sofferenza. C’è chi fa coincidere l’Unione europea con il blocco di interessi liberisti che ha fatto della globalizzazione del mercato una opportunità soltanto per alcuni e una maledizione per tanti altri, oltre che per l’ambiente. Insomma: il paradosso di questo tempo è che a dire “Europa” si passi per reazionari.

Invece noi sappiamo che per questa parola passa il futuro!
Ma per renderlo chiaro non dobbiamo avere remore nello spingerci fino in fondo: noi diciamo “Europa” perché l’alternativa è la guerra in casa nostra. La guerra vera e propria, quella che ci siamo abituati a vedere in TV perché riguarda altre aree del Mondo. La guerra, come quella che divampò in Jugoslavia quando sembrava impossibile che le pretese di gruppi nazionalisti potessero degenerare in violenze tremende come quelle che poi dilagarono per tanta parte degli anni ’90. Eppure accadde. Noi sappiamo che quando la politica per governare sceglie la strada della esaltazione dell’identità nazionale, brandita contro tutti coloro che vengono presentati come un ostacolo alla piena soddisfazione dei propri bisogni, lo sfogo che giunge è la guerra. Possibile che gli oltre 11.000 morti in 4 anni di guerra sporca in Ucraina non scuotano le coscienze? Possibile che la strage di Utoya del Luglio del 2011 sia stata rimossa? Un solo neo-nazista massacrò a sangue freddo 70 giovani socialisti che si stavano formando ai valori del multiculturalismo e della laicità. La guerra nazionalista ha tante “micce”: in Jugoslavia ci furono gli ultras negli Stadi, che ricordano alcuni fatti nostrani e recenti, che rimandano alla solita saldatura tra estrema destra e criminalità organizzata, sempre serva del potere più forte. Anche la violenza contro i giornalisti oggi è una “miccia” contro la pace, perché è un attacco al pensiero critico, alla libertà democratica: non possiamo dimenticare Daphne Galizia Caruana e Jan Kuciak, assassinati a Malta e in Slovacchia (Europa!) perché le loro inchieste davano fastidio.
Noi vogliamo la pace, per questo vogliamo l’Europa: che continui ad essere quella straordinaria occasione di negoziazione permanente tra interessi diversi all’interno dei propri confini. Vogliamo la pace, per questo vogliamo l’Europa: perché sia la nostra occasione di ridurre il ricorso alla violenza nel resto del Mondo e contro la Terra. Certo vogliamo un’Europa diversa e più solidale soprattutto con chi soffre ed è per questo che abbiamo bisogno di una Europa che accetti la sfida più alta: trasformarsi in una Repubblica. Una Repubblica d’Europa per avere un solo sistema fiscale, per abolire ogni paradiso fiscale, per avere una assicurazione sociale universale per tutti i cittadini in difficoltà, per avere una unica politica estera che impedisca a USA, Cina e Russia di giocare col nostro destino come fossimo una posta in palio.
Se dovesse esserci una lista inclusiva per le prossime elezioni europee, una lista che dica di questa volontà e contenda consenso ai guerrafondai nazionalisti, sarebbe bello si chiamasse così: Repubblica d’Europa.

Davide Mattiello
Presidente Fondazione Benvenuti in Italia

 

ASGI: Illegittimo negare l’attracco in un porto sicuro

“Lanciamo un appello di impegno civile a difesa della legalità a fronte di una politica senza più legge”

Condivido e diffondo l’appello dell’ASGI:

Il nuovo anno si apre con 32 persone che, ancora una volta, attendono da molti giorni (tredici, alla data di oggi) di poter sbarcare in un porto sicuro. Al caso della Sea Watch 3 si aggiunge quello della Sea Eye, con 17 persone raccolte lo scorso 29 dicembre.

Da giuristi non possiamo quindi che denunciare, ancora una volta, l’illegittimitàdi quanto sta, nuovamente, accadendo nel Mediterraneo: il diritto di sbarco in un porto sicuro viene posto in discussione in ogni singolo episodio di salvataggio, senza considerazione alcuna per le norme.
Sono solo gli ultimi casi di uno stillicidio ormai costante in spregio del diritto e fuori da ogni inesistente “invasione”, ammontando gli sbarchi nel 2018 a poco più di 20.000.

Come associazione ribadiamo che:

il diritto internazionale del mare (Convenzione Sar sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989; Convenzione Solas sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, ratificata nel 1994, tra le altre) prevede chegli Stati e, quindi, anche le autorità italiane, abbiano l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a che tutte le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro;

il rifiuto di consentire lo sbarco, in particolare a persone vulnerabili (donne e bambini, anche piccolissimi) sfuggite a torture e violenze, che oggi si trovano in permanenza prolungata su una nave in condizioni di sovraffollamento e di promiscuità e con bisogno di accesso a cure mediche e a generi di prima necessità viola inoltre le norme a tutela dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei rifugiati, in particolare l’art.2 (diritto alla vita) e l’art.3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, oltre che il principio di non refoulement e il diritto di accedere alla procedura di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dall’art.10 c.3 della Costituzione italiana.

Ci riserviamo di supportare e promuovere ogni azione giudiziaria nelle sedi competenti per ingiungere il rispetto del diritto e sanzionare le violazioni in essere e l’indebita strumentalizzazione della situazione di persone vulnerabili al fine di porre in discussione le regole di ripartizione dei richiedenti asilo nell’Unione Europea al di fuori delle sedi proprie.

Pertanto come associazione invitiamo tutti i soggetti istituzionali, al di là della loro competenza, a far sentire la loro voce anche con atti di impegno civile a favore di coloro che sono ostaggio di una politica senza più legge.

—————————————————

Per adesioni all’appello, che proponiamo alla sottoscrizione di enti, associazioni e persone interessate, contattare info@asgi.it

Ufficio stampa ASGI : 3894988460


Foto Credit : Francesco Piobbichi