“La mafia non è più quella di una volta (ma resta quella di sempre)”, convegno organizzato a Montecitorio da Davide Mattiello, onorevole PD e membro della Commissione Antimafia, si è tenuto lo scorso 22 febbraio con l’obiettivo di riflettere, a 25 anni dalle stragi di Palermo, su come sia cambiato il fenomeno mafioso e sull’adeguatezza dell’attuale quadro normativo, dal 416 bis alla legge Anselmi.

Per affrontare la complessa tematica sono stati invitati il professor Isaia Sales, storico di mafia; Giuseppe Lombardo, Sostituto Procuratore della DDA di Reggio Calabria; Alessia Candito, giornalista di Repubblica; Fabio Repici, avvocato difensore della famiglia di Bruno Caccia e di Salvatore Borsellino ed il Vicepresidente della Commissione Antimafia, Claudio Fava.

Abbiamo deciso di pubblicare i loro interventi, convinti del valore della conferenza e delle riflessioni portate dai relatori.

Il convegno è stato una tappa del percorso intrapreso da Davide Mattiello per rafforzare la legge Anselmi, promulgata nel 1982, per colpire le associazioni segrete, adattandola al contesto attuale, nel quale mafie e massonerie

Tra i punti della Proposta di legge ci sono l’incompatibilità a ricoprire ruoli apicali nelle strutture pubbliche se appartenenti a logge massoniche, l’aumento delle pene minime e massime previste dalla legge Anselmi

Ieri a Montecitorio si è svolto il convegno intitolato ‘La mafia non è più quella di una volta (ma resta quella di sempre)’, una riflessione, a 25 anni dalle stragi di Palermo, su come sia cambiato il fenomeno mafioso e sull’adeguatezza dell’attuale quadro normativo, dal 416 bis alla legge Anselmi.
Sono intervenuti il professor Isaia Sales, storico di mafia, il procuratore Giuseppe Lombardo, titolare delle maggiori inchieste in corso a Reggio Calabria contro la ‘ndrangheta, la giornalista di Repubblica e del Corriere della Calabria Alessia Candito, l’avvocato Fabio Repici, legale in alcuni dei maggiori processi di mafia in corso e il vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia Claudio Fava.

L’Italia sta con l’Ucraina INTEGRA ed INDIPENDENTE

L’Italia sta con l’Ucraina integra e indipendente. Se ne facciano una ragione gli anti Europeisti, tifosi di Putin. Sono grato al Governo per la tempestiva e chiara risposta alla interrogazione che avevo presentato insieme ad altri deputati torinesi sulla vicenda della apertura a Torino di un sedicente centro di rappresentanza della auto proclamata repubblica popolare di Donetsk, fatto che abbiamo ritenuto meritevole di censura dal momento che non si può legittimare in alcun modo l’azione di disgregazione violenta dell’Ucraina sostenuta dalla Russia. L’Europa è la casa di tutti i popoli che credono nell’incontro e nella cooperazione, abbiamo semmai il dovere di renderla migliore di come sia oggi, non possiamo certo permettere a chi soffia sul fuoco della discriminazione nazionalistica di spazzare via 70 anni di storia e 50 milioni di morti. Oggi stesso recapiterò copia della risposta all’Ambasciatore ucraino a Roma, che presto sarà gradito ospite a Torino"

Che brutta figura con gli Emirati Arabi…

Gli Emirati Arabi hanno ratificato il trattato di cooperazione giudiziaria con l’Italia, noi no: che brutta figura. Nessuna delle spiegazioni che dal marzo 2016 il Governo in vari modi ha dato sulla questione della mancata ratifica dell’accordo di cooperazione giudiziaria e di estradizione tiene più: nemmeno le perplessità manifestate dal Quirinale sulla pena di morte, l’accordo firmato dal Ministro Orlando nel settembre del 2015 infatti è in tutto simile a quello che abbiamo con altri Paesi che contemplano la pena di morte, come gli USA. Si apprende ora che gli Emirati hanno proceduto sulla strada della ratifica di quell’accordo e quindi l’urgenza aumenta: che brutta figura rischia di fare l’Italia, con uno dei suoi principali partner economici! Vale la pena rammentare ancora una volta che esiste sempre e comunque il canale della così detta cortesia diplomatica per ottenere l’estradizione dei latitanti italiani e che in ogni caso diventa difficile persuadersi che il trattato, qualora dovesse essere ratificato anche dall’Italia, non varrebbe che per il futuro. Ancora la scorsa settimana sono intervenuto in Aula per sollecitare la risposta del Governo tanto alla interrogazione che ho a suo tempo presentato, quanto alla risoluzione votata a larga maggioranza in Comissione Giustizia nell’ottobre del 2016: ma dal Governo nessuna reazione. Peccato

La relazione sul sistema di accoglienza primario non può più attendere

(ANSA) – ROMA, 14 FEB – Al nuovo capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, il prefetto Gerarda Pantalone che ieri si è insediata nel suo nuovo ufficio romano, un augurio di buon lavoro e una raccomandazione: la Relazione sul sistema di accoglienza primario non può più attendere". Lo afferma il deputato del Pd Davide Mattiello il quale ricorda che la norma, promossa nel 2014, impone al Ministero dell’Interno di pubblicare la relazione entro il 30 giugno di ogni anno, “ma stiamo ancora aspettando quella del 2016”. “La Relazione – spiega – deve essere uno strumento chiaro che aiuti chiunque a capire a chi vadano i soldi pubblici, quanti e per fare che cosa. Uno strumento di trasparenza che è in sè un deterrente per chi voglia speculare sulla pelle degli accolti ed anche una garanzia per i tanti operatori del sociale che lavorano nel rispetto della legge e soprattutto della dignità delle persone, spesso in situazioni difficili. Non si può lasciare che un segmento così delicato della questione migratoria venga anche soltanto percepito come opaco: sarebbe gettare benzina sul fuoco. Per altro le inchieste giudiziarie e giornalistiche, le ultime in ordine di tempo ancora su Isola Capo Rizzato e Mineo, inducono a tenere alta l’attenzione perché tra le pieghe del penalmente rilevante, non si stiano consolidando vergognose rendite di posizione, anche elettorali”.
La relazione sul sistema di accoglienza è frutto di un emendamento presentato al Decreto Legge 119 divenuto legge con l’approvazione in Senato avvenuta il 15 ottobre scorso. In dettaglio si prevede che entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro dell’Interno, coordinandosi con il Ministero dell’Economia, presenti alle Camere una Relazione in merito al funzionamento del sistema di accoglienza. In particolare il documento deve contenere dati relativi al numero delle strutture, alla loro ubicazione e alle caratteristiche di ciascuna, nonché alle modalità di autorizzazione, all’entità e all’utilizzo effettivo delle risorse finanziarie erogate.

Ancora lontana la pace per i bambini soldato

Cristiano Morsolin*

A 15 anni dall’entrata in vigore del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (2002), si celebra il 12 febbraio 2017 la giornata internazionale contro l’utilizzo dei minori in guerra. Ricorrenza funestata dai drammatici dati diffusi dalle Nazioni Unite: nel 2015 sono stati almeno 250 mila i ragazzini impiegati da eserciti regolari o irregolari come soldati, cuochi, facchini e schiavi sessuali.

Nel suo ultimo rapporto del luglio 2015, il Rappresentante Speciale Onu per i minori in guerra, Leila Zerrougui, parla di “unspeakable violences”, violenze inenarrabili, e spiega che “la situazione peggiora di anno in anno”. Aumentano reclutamenti forzati e attacchi a scuole e ospedali; su 24 milioni di sfollati almeno uno su tre è minorenne.

La situazione è particolarmente grave in Colombia dove l’impunita regna sovrana in un contesto dove varie stime di UNICEF e organismi internazionali considerano la presenza di oltre 11.000 bambini soldato ostaggio dei gruppi armati illegali.

Come afferma l’organizzazione internazionale Wachtlist on Children and Armed Conflict, in Colombia si deve ancora migliorare sul piano della giustizia processuale. Dopo la legge “Justicia y Paz” (2005) di smobilitazione dei 31.000 paramilitari, i numerosi processi e le successive condanne, solo due di queste erano relative al reclutamento forzato dei minori.

La rete nazionale della societa’ civile Coalico (Coalizione contro l’utilizzo di minori nel conflitto armato in Colombia) segue da vicino la situazione nazionale ed internazionale su questo complesso tema, ed evidenzia preoccupazione rispetto alla disuguaglianza giuridica che colpisce doppiamente i bambini perchè non sono riconosciuti come vittime.

Le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc) – che avrebbero ancora nelle proprie fila centinaia di baby soldati – si sono impegnate nel febbraio 2015 a non utilizzare più bambini soldato nel quadro dei negoziati; ma stanno violando gli accordi di pace firmati a fine novembre 2016 perché, dopo tutti questi mesi, hanno liberato solo 13 (tredici) adolescenti, come ha denunciato Sara Oviedo, membro del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia di Ginevra – nell’intervista esclusiva che mi ha rilasciato per l’agenzia ALAI di Quito:  En el proceso de paz falta atención al tema de niños reclutados por las FARC,http://www.alainet.org/es/articulo/179978 .

Nel corso di una sua recente visita in Colombia (26-30 aprile 2015), Sara Oviedo, Vice Presidente del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, ha usato parole forti: “Dobbiamo sradicare tutte le forme di violenza contro l’infanzia, lo sfruttamento sessuale, la violenza domestica, il reclutamento forzato da parte dei gruppi armati illegali, perchè sono la causa della morte di tre bambini ogni giorno in Colombia. Esiste una pessima distribuzione della ricchezza che divide la maggioranza dei lavoratori dai padroni dei mezzi di produzione. In questo modo si rendono vulnerabili anche i diritti dei bambini e adolescenti a causa di una cultura purtroppo diffusa in Colombia che accetta la divisione tra ricchi e poveri e il mondo politico mantiene questo sistema di esclusione”.

Sul rischio impunitá é intervenuto a Washington il Vice Procuratore della Corte Penale Internazionale Stewart: “speriamo che il processo di pace arrivi al suo punto finale in forma esitosa ma deve contemplare una vera assunzione di responsabilitá per coloro che hanno commesso crimini di guerra e di lesa umanita in base agli standard internazionali di giustizia”.

Su questi temi ho video-intervistato in esclusiva, Anne Robin, braccio destro di Leila Zerrougui, Secretary-General’s Special Representative for Children and Armed Conflict:

https://www.youtube.com/watch?v=02Vy8QHInm8

In questa giornata mondiale delle Mano rosse contro l’ulizzo dei baby soldati nei conflitti armati é importante focalizzare l’attenzione sul conflitto colombiano che – secondo la Fiscialia de la Nacion avrebbe coinvolto ben 11.300 minori, documentato nell’articolo Carnefice o vittima? Un ex bambino soldato a processo per i crimini in Uganda e le relazioni con Colombia (http://www.vita.it/it/article/2016/12/09/carnefice-o-vittima-un-ex-bambino-soldato-a-processo-per-i-crimini-in-/141891/ ).

Il Corriere della Sera di venerdi scorso ha pubblicato un bel reportage “I bambini soldato della Colombia che tornano a vivere grazie alla pace“ –  sulla storia di Manuel e Catalina, due adolescenti reclutati alla forza dalle FARC che sono venuti recentemente a Roma a raccontare la loro storia di riscatto grazie all’appoggio dei salesiani del progetto Ciudad Don Bosco, programma sociale che accompagna 2.300 giovani a Cali e Medellin.

“Come se non bastassero le privazioni di cibo e di sonno, Catalina impara presto che in guerra più di tutto vale il detto “mors tua vita mea”. «Una notte l’esercito colombiano ha attaccato il nostro campo.  Ero con il mio fidanzato. Abbiamo iniziato a correre, io non riuscivo perché ero ferita. Lui mi ha fatto scudo con il suo corpo ed è morto. Quella notte, di tanti che eravamo siamo rimasti in pochi», ricorda.

Come tutte le sue compagne si trasforma in uomo, che imbraccia un’arma e uccide come una macchina. «Sono passata da essere una bambina che ragiona  da tale a una persone fredda che non ha mai paura di niente». Oggi Catalina ha ricominciato a vestirsi con abiti femminili, l’obbligo della divisa e il divieto di truccarsi sono un ricordo. Da grande sogna di diventare un’infermiera o un’avvocatessa per i diritti dell’infanzia. Ma la cosa più importante per lei ora è di aver imparato a socializzare con le persone che le stanno vicino «Se devo pensare a un colore, prima ero grigia ora sono bianca. Sono anche riuscita a fare pace con mia madre e a condividere certe cose con lei…e chissà, magari un giorno racconterò ai miei nipoti delle mie ferite di guerra».

Per le ragazze, la vita nelle fila della guerriglia facilmente si traduce in abusi sessuali di ogni tipo. «Molte di loro sono state costrette ad avere rapporti con i superiori o a fidanzarsi con i compagni per diminuire i rischi di fuga», sottolinea ancora Areiza. Chi è rimasta incinta è stata costretta ad abortire anche più volte, oppure i neonati sono stati regalati o venduti ai contadini dei villaggi vicino ai campi”, scrivono Carlo Lodolini e Marta Serafini (http://www.corriere.it/reportages/esteri/2017/colombia-bambini-soldato/  ) .

L’On. Davide Mattiello, membro delle Commissioni Giustizia e Antimafia, giá presidente di Acmos e Benvenuti in Italia ( che precedentemente si é gia occupato del conflitto colombianohttp://benvenutiinitalia.it/la-colombia-e-la-nonviolenza/), ha diffuso una nota insieme a Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, dove chiede al Governo italiano di “promuovere, nell’ambito della cooperazione internazionale, progetti diretti esplicitamente al recupero e al reinserimento degli ex bambini soldato nella società civile, come un contributo importante alla pace e riconciliazione dopo 52 anni di conflitto armato”.

Autore: Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vi lavora dal 2001.

BLOG: https://diversidadenmovimiento.wordpress.com/

12 febbraio 2017

La mafia non è più quella di una volta (ma resta quella di sempre)

Ho organizzato
per il 22 Febbraio 2017 un seminario alla Camera dei Deputati (Sala Aldo
Moro, dalle 10 alle 13) e mi farebbe piacere che tu partecipassi.

A venticinque
anni dalle stragi di Palermo abbiamo il dovere di chiederci come sia cambiato
il fenomeno mafioso e quanto siano efficaci gli strumenti che abbiamo a
disposizione, consapevoli che in questi 30 anni sono stati conseguiti risultati
eccezionali, che hanno consentito al nostro Paese di debellare quasi
completamente la Cosa Nostra dei corleonesi e di assestare colpi duri alle
altre organizzazioni mafiose.

Abbiamo bisogno
in particolare di riconoscere e colpire “la forza intimidatrice del vincolo
associativo” anche in quelle consorterie segrete che fondano il proprio potere
sul ricatto e lo adoperano sistematicamente per interferire nel funzionamento
delle Istituzioni pubbliche. Anche quando queste consorterie non rappresentano
evoluzioni delle associazioni mafiose tradizionali, ma organizzazioni
“originarie ed originali” per evocare le parole che usò il Procuratore
Pignatone nel dicembre del 2014 per spiegarci “Mafia Capitale”. Parole che
verrebbe da utilizzare nuovamente pensando ad inchieste come “P4” “Labirinto” o
come quella che vede oggi indagati i fratelli Occhionero.

Ma abbiamo anche
il bisogno di rafforzare nella percezione
dei cittadini l’imparzialità di chi ricopre ruoli apicali nelle Pubbliche
Istituzioni, imparzialità che si traduce nella esclusiva lealtà alla Repubblica
e quindi alla Costituzione. Una esclusiva lealtà che sicuramente viene meno
qualora il soggetto risponda ad organizzazioni mafiose o comunque segrete e
dedite alla interferenza, ma che può
venire meno o venire meno anche soltanto nella percezione dei cittadini,
qualora il soggetto risponda ad organizzazioni
perfettamente legali e tuttavia fondate su un vincolo di obbedienza gerarchico
perticolarmente qualificato
.

Lavorare su
questo secondo bisogno non è meno importante che lavorare sul precedente,
perché il successo delle mafie e delle associazioni segrete sta anche nella
inaffidabilità, reale o percepita, delle Istituzioni Pubbliche. Detto al
contrario: tanto meglio vengono percepite le Istituzioni Pubbliche, tanto
meglio lavorano nel pieno rispetto delle regole democratiche, tanto meno si
avvertirà la tentazione di appoggiarsi ad altre “solidarietà” per ottenere il
soddisfacimento dei propri bisogni. Che poi è il concetto che il generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa espresse, dicendo: “Lo Stato dia come diritti, ciò che i
mafiosi danno come favori”.

Parole come “onorabilità”
e “prestigio” non sono piene di vana retorica, sono invece utili e concreti
richiami a quel modo di essere e di apparire di chi interpretata ruoli
istituzionali, così determinante nell’infondere fiducia nei cittadini. Soltanto
un folle non apprezzerebbe il ruolo della “fiducia” nella tenuta di una sociatà
fondata sul principio di legalità democratica.

Ciò posto le
questioni attorno a cui rifletteremo sono due:

– evoluzione del
fenomeno mafioso ed adeguatezza dell’attuale quadro normativo: tra 416 bis e
Legge Anselmi

– compatibilità
tra l’esercizio di funzioni pubbliche apicali e l’appartenenza a sodalizi
fondati su un “qualificato" vincolo di obbedienza

L’obiettivo è
quello di valutare la possibilità di proporre una “ristrutturazione” della Legge
Anselmi che la renda più utile a colpire le così dette “masso-mafie” (cit. Fantò-Scarpinato),
ma anche a tenere alla larga dalla PA chi possa considerarsi, in ragione di
“obbedienze” seppur legali, non sufficientemente libero e imparziale.

Ne discuteremo
con il prof. Isaia Sales, il
procuratore Giuseppe Lombardo, la
giornalista Alessia Candito, l’avv. Fabio Repici e il Vice presidente della
Commissione Parlamentare Antimafia on. Claudio
Fava
.

Sono stati
invitati:

la Presidente
della Camera Boldrini, il Ministro della Giustizia Orlando, il Ministro
dell’Interno Minniti, la Presidente della Commissione Antimafia Bindi, la
Presidente della Commissione Giustizia Ferranti.

41 bis: la sentenza della Corte è un sollievo

La sentenza della Corte è un respiro di sollievo per l’efficacia del 41 bis. Alla Corte Costituzionale era stato chiesto se fosse legittimo che il regime carcerario del 41 bis arrivasse fino a vietare al detenuto di spedire all’esterno o di ricevere dall’esterno libri o riviste. La Corte ha risposto che si, è legittimo e bene ha fatto. Nessuno infatti mette in discussione la possibilità del detenuto anche in regime di 41 bis di leggere e studiare, ma la possibilità che ciò avvenga anche attraverso la possibilità di ricevere dall’esterno o spedire all’esterno libri e riviste: ma ci immaginiamo a quale mostruoso lavoro sarebbe stata costretta diversamente la Polizia Penitenziaria che avrebbe dovuto garantire che in nessun modo questo via vai di testi potesse contenere messaggi nascosti volti a mantenere in funzione la relazione criminale? Si pensi ai sodali che spediscano al boss detenuto Guerra e Pace!