Ritiro la firma dall’AC 2212 perché l’acqua è un “salva con nome”

Viviamo in un Mondo unificato dalla globalizzazione del mercato, dalla globalizzazione del terrore, che fatica a globalizzare libertà e diritti, tanto è vero che le diseguaglianze si acuiscono. In questo modo di fare Mondo però non c’è nulla di ineluttabile, basta avere la forza sufficiente e le cose cambiano. Per ora è molto più forte chi crede che il mercato debba regolare ogni aspetto della convivenza umana: il mercato ha vinto, c’è chi opera per farlo stravincere.

La Campagna referendaria del 2011 per me come per tanti è stata l’occasione per dire che non tutto può essere mercificato, che la vita non deve essere mercato, che l’acqua, che della vita è l’essenza, deve stare fuori dal mercato. Come profezia e scelta politica capace di rivendicare il valore del limite anche nel mercato, che soltanto così può essere una opportunità di libertà.

L’acqua deve stare fuori dal mercato, almeno l’acqua, perché diventi un “salva con nome”: qualcosa che ricordi a noi stessi che il denaro non può essere l’unico modo per ordinare la convivenza tra umani. La vita viene prima del mercato e non si risolve nel mercato.

Temo che la prospettiva verso la quale rischiamo di andare, considerando insieme la proposta di legge sulla gestione dell’acqua così come uscita dal voto in Commissione e il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, sia una prospettiva che, assimilando il servizio di gestione dell’acqua agli altri servizi analoghi, acceleri la costituzione di grandi società multiservizi che competano nel mercato globale della gestione delle risorse primarie, imboccando un piano inclinato che non sfuggirà alla logica “comprare/farsi comprare”.

L’acqua e la sua gestione andrebbero preservate da questa prospettiva: certi simboli servono a lasciare aperta la porta del possibile, proprio quando il reale sembra imporsi con l’evidenza del necessario.

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