(ANSA) – ROMA, 31 AGO – “Le minacce di morte di Riina contro don Ciotti non possono muovere soltanto alla giusta solidarieta’, devono anche spingere chi ha responsabilita’ istituzionali a fare tutto e subito quanto e’ in proprio potere. Per questo chiedo alla Presidente della Commissione Antimafia,on. Bindi, di convocare al piu’ presto il Ministro Alfano”. Lo dichiara l’on. Davide Mattiello(Pd) componente della commissione Antimafia secondo il quale serve “capire quali provvedimenti siano stati presi per assicurare il miglior livello di tutela. Per questo il parlamentare chiede che la commissione senta anche il Procuratore Nazionale Antimafia Roberti "per capire quali siano stati gli effetti delle minacce di Riina all’interno dell’organizzazione mafiosa, e il sottosegretario alla sicurezza Minniti per capire quali intrecci risultino allo stato tra ambienti mafiosi e altri ambienti, potenzialmente interessati a colpire don Ciotti”. “Le minacce di Riina – dice Mattiello – riportano al periodo compreso tra il maggio e l’ottobre 2013, quindi un anno fa, sono parole pronunciate da Riina durante l’ora d’aria, trascorsa con Alberto Lorusso, sono parole coeve alle altrettanti gravi minacce pronunciate contro il dott. Di Matteo, di cui la stampa informo’ l’opinione pubblica a partire almeno dal novembre 2013: c’e’ da chiedersi allora anche come mai queste ulteriori gravissime minacce contro don Ciotti siano state rese pubbliche soltanto ora”

Dibattito fisiologico, e la demagogia sta a zero.

(ANSA) – ROMA, 30 AGO – Il dibattito su una norma penale nuova “e’ fisiologico e lo scambio tra le idee, che siano espresse da un parlamentare, da un giornalista, da un magistrato di Cassazione, dovrebbe servire a rendere certo il diritto, a beneficio dei cittadini e della giustizia, quindi niente panico”. Lo afferma Davide Mattiello, deputato Pd componente della Commissione Antimafia, riferendosi alle polemiche sul nuovo 416 ter. “Il senatore Giarrusso avrebbe detto che con la nuova formulazione del 416 ter, bisogna provare che il mafioso sia andato al seggio a minacciare col Kalashnikov i votanti. Detto che ho fatto esperienza diretta di come facciano i mafiosi a presidiare fisicamente i seggi elettorali, avvicinando a uno a uno gli elettori, la nuova formulazione del 416 ter non richiede affatto – spiega Mattiello – la prova del fantomatico Kalashnikov. Intanto, il nuovo 416 ter punisce gia’ lo scambio tra le promesse: il reato e’ commesso e va punito quando le due parti si mettono d’accordo. Non devo dimostrare che i voti siano stati davvero procacciati (con o senza Kalashkov!), non devo dimostrare che i soldi o le altre utilita’ siano state davvero retribuiti. Perche’ nessuno sottolinea questa decisiva anticipazione della tutela penale? Il reato e’ commesso quando provo l’accordo tra le parti”. Mattiello sottolinea che “il riferimento tanto criticato, alle modalita’ mafiose con le quali i voti saranno raccolti e’ semplicemente la via legislativa per descrivere la qualita’ soggettiva del mafioso. Come se per dire ‘calciatore’ si dicesse ‘quello che gioca a pallone’”. La dicitura scelta dal legislatore “facendo riferimento alle ‘modalita’ del metodo mafioso’, colpisce anche chi, in associazione con altri, si comporti come si comportano i mafiosi, pur non essendo un affiliato a questa o quella organizzazione. Rammento che questo e’ proprio lo spirito del famoso ‘art.7’ cioe’ l’aggravante per metodo mafioso, che si applica a chi si comporti, in associazione con altri, come si comporterebbe un mafioso con la "m” maiuscola"

Ma quale Kalashnikov: basta il pensiero

il senatore Giarrusso avrebbe detto che con la nuova formulazione del 416 ter, bisogna provare che il mafioso sia andato al seggio a minacciare col Kalashnikov i votanti.
Detto che ho fatto esperienza diretta di come facciano i mafiosi a presidiare fisicamente i seggi elettorali, avvicinando ad uno ad uno gli elettori, la nuova formulazione del 416 ter non richiede affatto la prova del fantomatico Kalshnikov.
Intanto, il nuovo 416 ter punisce già lo scambio tra le promesse: il reato è commesso e va punito quando le due parti si mettono d’accordo. Non devo dimostrare che i voti siano stati davvero procacciati (con o senza Kalashkov!), non devo dimostrare che i soldi o le altre utilità siano state davvero retribuiti. Perché nessuno sottolinea questa decisiva anticipazione della tutela penale? Il reato è commesso quando provo l’accordo tra le parti.
L’accordo tra le parti per essere penalmente rilevante e quindi integrare il 416 ter, ha bisogno di almeno 2 caratteristiche, una che riguarda l’oggetto dell’accordo e una che riguarda i soggetti che formano l’accordo. L’oggetto dell’accordo: voti contro denaro o altra utilità. I soggetti: da una parte ci deve essere il politico, o chi stia lavorando per lui nella campagna elettorale, dall’altra parte ci deve stare il mafioso. E qui arriviamo al punto: il riferimento tanto criticato, alle modalità mafiose con le quali i voti saranno raccolti è semplicemente la via legislativa per descrivere la qualità soggettiva del mafioso. Come se per dire “calciatore” si dicesse “quello che gioca a pallone”. Il politico o chi per lui deve avere coscienza di trattare con uno “che gioca a pallone”. Diversamente non è voto di scambio politico-mafioso, ma è soltanto voto di scambio, comunque e severamente punito dal codice penale. Ricordiamoci che questo tipo di ancoraggio alla qualità soggettiva specifica di chi si impegna a portare i voti era già prevista nella precedente e originaria formulazione del 416 ter. Ma vado oltre: la caratteristica soggettiva del mafioso poteva essere richiamata in altro modo? Forse si, per esempio con una dicitura del tipo: “Chi accetti la promessa di voti da un appartenente all’associazione criminale di cui all’art. 416 bis”. Ma con ciò si sarebbe poi dovuto dimostrare la consapevolezza del politico che il proprio interlocutore appartenesse ad una delle organizzazioni mafiose riconosciute (Cosa Nostra, Stidda, SCU, Camorra, ‘ndrangheta…). La dicitura scelta dal legislatore invece è più ampia, perché facendo riferimento alle “modalità del metodo mafioso”, colpisce anche chi, in associazione con altri, si comporti come si comportano i mafiosi, pur non essendo un affiliato a questa o quella organizzazione. Rammento che questo è proprio lo spirito del famoso “art. 7” cioè l’aggravante per metodo mafioso, che si applica a chi si comporti, in associazione con altri, come si comporterebbe un mafioso con la “m” maiuscola.
Il dibattito su una norma penale nuova è fisiologico e lo scambio tra le idee, che siano espresse da un parlamentare, da un giornalista, da un magistrato di Cassazione, dovrebbe servire a rendere certo il diritto, a beneficio dei cittadini e della giustizia, quindi niente panico"

Polemiche su 416 ter non erano su questo punto

“Polemiche su 416 ter si scatenarono non su questo punto” (ANSA) – ROMA, 29 AGO – “Prendo atto della sentenza di Cassazione sul caso Antinoro e delle polemiche che ha scatenato. Rammento che la parte del nuovo 416 ter finita nella bufera non fa altro che riformulare lo stesso concetto gia’ presente nella precedente stesura del 416 ter, che faceva riferimento alle ‘modalita’ del III comma del 416 bis’”. A chiarirlo e’ Davide Mattiello, deputato Pd componente della Commissione Antimafia e relatore di maggioranza alla Camera sul provvedimento. “Il legislatore riformulando il 416 ter e ampliandone significativamente il perimetro di applicazione – spiega Mattiello – ha inteso coerentemente ribadire il principio insito fin dalla prima stesura: se vogliamo colpire lo scambio tra il politico e il mafioso, bisognera’ provare che il politico abbia avuto consapevolezza di rivolgersi all’organizzazione mafiosa, la quale e’ per definizione, ex 416 bis, violenta nelle sue modalita’. La prova rigorosa va portata su questo aspetto del dolo: la consapevolezza che il politico sta trattando con una organizzazione mafiosa, quindi violenta. Mancando questo elemento soggettivo, viene meno lo scopo stesso della norma. Gli atti parlamentari danno prova di questo”. Il deputato Pd fa notare che le polemiche sul 416 ter riformato “si scatenarono non su questo punto, ma sulla misura delle pene, fissate a 4-10 anni e giudicate troppo basse. Su questo punto ribadisco quanto sempre sostenuto: l’importante e’ mantenere la proporzionalita’ tra le pene applicate a condotte differenti. Se oggi Orlando annuncia l’aumento delle pene sul 416 bis, e’ pronto l’emendamento per aumentare quelle sul 416 ter’”

Sblocca Italia: bene, ma aiutiamo gli imprenditori vittime del racket

(ANSA) – ROMA, 28 AGO – “Nel decreto Sblocca Italia si annuncia una rivoluzione per gli appalti pubblici con un valore compreso tra i 200 mila euro e il milione: basta varianti in corso d’opera, basta massimo ribasso, valore riconosciuto al rating di legalita’, cioe’ all’accreditamento delle aziende presso un albo nazionale che ne certifica il rispetto della legalita’ a 360 ”. Lo afferma il deputato Pd, membro della Commissione Antimafia, Davide Mattiello, che prosegue: “Un segnale importante, atteso sia dalla Commissione Antimafia, che dall’Autorita’ Nazionale Anticorruzione, un segnale che sarebbe ancora piu’ prezioso se tenesse in considerazione quegli imprenditori che hanno denunciato il racket, per cio’ subendo attentati e spesso una contrazione insostenibile della clientela”. “E’ vero che questi imprenditori possono ricorrere ai fondi Antiracket per rimettersi in piedi – ragiona Mattiello – ma per lo piu’ questo non e’ sufficiente a riscattare una vita normale, perche’ l’imprenditore che ha denunciato diventa una sorta di appestato: banche, fornitori, clienti preferiscono stargli alla larga. E’ importante che lo Stato riequilibri questo danno indiretto della violenza mafiosa, un danno che dipende soprattutto dalla forza culturale delle organizzazioni mafiose, selezionando questi imprenditori, considerandoli fornitori privilegiati. E questo a prescindere dalla condizione di testimone di giustizia, che ha a che fare con la tutela dal rischio di attentanti ulteriori e che non deve essere confusa con un viatico improprio all’assistenza di Stato”

Ministro Giannini: a scuola ripartiamo da Falcone!

(ANSA) – ROMA, 27 AGO – “Quando chiesero a Giovanni Falcone cosa ne pensasse della presenza dell’esercito in Sicilia, mandato dallo Stato a contrastare l’emergenza mafia, Falcone rispose: ‘Certo che voglio l’esercito! Voglio un esercito di insegnanti, perche’ la mafia teme la cultura’”. A ricordarlo e’ Davide Mattiello, Pd, componente della commissione Antimafia, che rivolge una forma di appello al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, chiedendole di ripartire dalla lezione di Falcone. “Perche’ la mafia teme la cultura e quindi la scuola? La teme quando la scuola e’ una valida alternativa alla strada, ecco perche’ ci vogliono scuole sicure, belle e aperte tutto il giorno, ricche di proposte, che facciano cerniera tra docenti, famiglie, associazioni, lavoro. Teme la scuola – prosegue il deputato del Pd – quando la scuola dimostra che ci si puo’ affermare nella vita senza prepotenza, ma attraverso l’acquisizione di competenze e saperi, ecco perche’ ci vogliono docenti preparati, capaci, valorizzati. Teme la scuola quando la scuola disarma le diseguaglianze sociali, indicando la strada della cooperazione e non della competizione ecco perche’ ci vuole una scuola in cui il corredo necessario non sia fonte di discriminazione, ci vuole una scuola capace di essere Stele di Rosetta tra i tanti lessici familiari dei nuovi italiani. La forza delle mafie sta anche in una esasperata cultura dell’identita’ familiare, arroccata e violenta: la scuola stempera questa forza, aiutando le famiglie lessicali ad aprirsi, da un lato riconoscendosi nella lingua italiana e nella cultura repubblicana e dall’altra sentendosi rispettate. Ecco perche’ – conclude Mattiello – sarebbe importante inserire l’insegnamento della storia delle religioni e insistere su mense capaci di rispettare le differenze”

Lontano dai riflettori le mafie si rafforzano

“Organizzazione mafiose si rafforzano quando riflettori altrove” (ANSA) – ROMA, 26 AGO – “Le organizzazioni mafiose ci hanno abituato alla capacita’ di rafforzarsi proprio quando i riflettori sono puntati altrove. A Foggia e nel foggiano la situazione e’ sempre piu’ preoccupante: almeno cinque attentati intimidatori nel giro di pochi giorni”. A sottolinearlo e’ Davide Mattiello, Pd, componente della Commissione Antimafia. “Il 31 luglio, quindi prima di questa ultima serie di scoppi – ricorda – la Commissione Antimafia si era recata a Foggia proprio per fare il punto sulla "Societa’ foggiana”, sulle attivita’ illecite nell’area garganica, sui raid militarizzati a scopo di rapina che partono dall’area di Cerignola. Avevamo raccolto la preoccupazione per una certa sottovalutazione: fatti criminali anche gravi, che pero’ non subiscono la sanzione del 416 bis. Nessuno puo’ dimenticare il sacrificio di Francesco Marcone, onesto funzionario pubblico, per questo ucciso il 31 marzo 1995. Da allora sono trascorsi quasi 20 anni, eppure non c’e’ verita’ su questo omicidio. Nessuno – prosegue Mattiello – puo’ sottovalutare l’interesse dimostrato dalla famiglia di Riina per il territorio pugliese, eleggendo domicilio a San Pacrazio salentino, che dista soltanto 51 km dalla localita’ di origine di quell’Alberto Lorusso, che di Salvatore Riina e’ stato “dama di compagnia” tra l’aprile e il dicembre 2013: il periodo delle esternazioni e delle minacce di Riina all’indirizzo dei Pm palermitani. Una delle poste in gioco in questi movimenti criminali potrebbe essere il controllo del traffico di armi provenienti dai Balcani. Chi e per cosa ha interesse a riarmare?“. 

L’Europa sbaglia a finanziare ‘Mare nostrum’. Gli sbarchi ingrassano le mafie

Europa sbaglia a finanziare Mare nostrum (ANSA) – ROMA, 25 AGO – Gli sbarchi “ingrassano le mafie”. Lo afferma Davide Mattiello, deputato Pd e componente della Commissione Antimafia, secondo il quale l’Europa sbaglia a finanziare l’operazione Mare nostrum. “In primo piano c’e’ il dramma degli essere umani che muoiono aggrappati a una illusione e l’enorme lavoro della Marina italiana e di quanti si prodigano nella prima accoglienza dei sopravvissuti. Ma appena in secondo piano – spiega il parlamentare – ci sono gli interessi delle organizzazioni mafiose italiane e straniere operanti in Italia, a sfruttare la manna rappresentata da questa umanita’ sbarcata nel nostro Paese. Non sfugge a nessuno che il sistema di accoglienza che l’Italia sopporta, stia reggendo anche perche’ viene tollerata, se non incentivata, la fuga dai centri che ospitano queste persone. Sono gia’ migliaia i minori stranieri non accompagnati ‘evaporati’ dai centri e persi sul territorio”. Secondo Mattiello, molti di questi sono finiti nel giro del caporalato, della prostituzione, dello spaccio di droga. “Non possiamo aspettare 20 anni per leggere in qualche relazione parlamentare che gli schiavi riversati in Italia sono stati l’occasione – osserva – per una nuova accumulazione capitalistica a vantaggio di qualche organizzazione mafiosa, che con gli appoggi giusti, avra’ saputo approfittare di ogni passaggio, dal momento della prima accoglienza, all’accompagnamento alla fuga, al successivo sfruttamento sul territorio, al passaggio illegale della frontiera italiana verso il Nord Europa”. “Il Ministro Alfano che conosce molto bene la materia, lo spieghi domani – esorta Mattiello – ai colleghi europei. Per questo l’Europa sbaglia a finanziare Mare Nostrum, per altro in maniera inadeguata, piuttosto che potenziare Frontex o comunque una soluzione europea integrata, dal soccorso in mare, all’accoglienza, alla protezione umanitaria. C’e’ bisogno che facciano sentire la propria voce anche i parlamentari italiani, oltre al Presidente Renzi nella sua veste di presidente del semestre”. (ANSA)

JP Morgan o pinguini? La mia riflessione dopo l’intervista di Gustavo Zagrebelsky

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Di seguito, la lettera mandata a Gustavo Zagrebelsky dopo la sua intervista a Il Fatto Quotidiano.

Potete leggere l’intervista CLICCANDO QUI

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Caro prof. Zagrebelsky,

temo che il problema non sia JP Morgan, ma il “Pinguino”.

Ho letto e meditato l’intervista rilasciata a Marco Travaglio, su Il Fatto del 22 Agosto.

Condivido il ragionamento: questa è la premessa. 

Lei ricorda che da neo-deputato ero pronto a dimettermi dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 4 Dicembre 2013: mi sembrava insopportabile andare avanti a svolgere la funzione di parlamentare, essendo diventato oggetto di una sentenza di condanna da parte della Corte Costituzionale. Lei invece non può sapere che fui, nel mio piccolo, tra quelli che reagirono al dossier della JP Morgan, quando venne divulgato, avvertendone la gravità.

Pure assumendo il ragionamento, temo che il punto di partenza sia, ahimè, insufficiente e di conseguenza, la reazione prospettata impraticabile. 

Al netto degli incidenti di percorso che possono far saltare il disegno del Governo a prescindere e in qualunque momento.

Io non credo che la finanza internazionale “dia ordini” alla politica. 

Credo piuttosto che finanza globale e classe dirigente occidentale vivano una convergenza di interessi e che questa convergenza di interessi non sia più messa in discussione, se non da una minoranza di persone in tutto il Mondo, sempre più residuale.

Perché negli ultimi 30 anni è profondamente mutato il piano del “desiderio collettivo”: da New York a Kiev, passando per Pechino e Delhi, ha vinto la Coca Cola. 

Nel 1989 è finita la terza guerra mondiale, il capitalismo occidentale ha vinto e come ogni vincitore ha preteso il palio. Dopo quarant’anni passati a mordere il freno per lo spauracchio sovietico, ha mollato ogni pudore e ha preteso una maggiore remunerazione del capitale di rischio: è cominciata da quel giorno l’erosione dell’esigibilità dei diritti, l’aggressione alla social democrazia, l’agonia delle democrazie parlamentari. In cambio però il capitalismo e poi il capitalismo finanziario globale hanno iniettato nell’immaginario collettivo mondiale la ricetta della felicità, senza più avere avversari realmente competitivi. Nel 1995, anno della riorganizzazione del Mondo dopo il terremoto globale innescato nel 1989, girava in TV la pubblicità del “Pinguino, De Longhi”: si ricorda lo slogan? “Tutti volere Pinguino De Longhi”, messo in bocca, per altro, ad un nativo americano, con tanto di pelli, piume e segnali di fumo.

Ecco la ricetta della felicità: l’accesso al consumo. Il “pinguino” ha vinto nella testa della maggior parte della popolazione mondiale. Parafrasando Augusto Boal, che parlava di “Flic dans la tete”, col “Pinguino dans la tete” il nuovo ordine mondiale si è avviato in marcia trionfale.

Lei sa quanto il desiderio sia decisivo per edificare consorzi umani di un tipo piuttosto che di una altro.

E qui arrivo al cuore della riflessione: la vittoria del “Pinguino” ha prodotto una rivoluzione anche nell’oggetto particolare del desiderio politico. Non esito a definirla involuzione. Gli individui, per lo più, non aspirano ad avere parte nel processo decisionale, ma aspirano ad essere rassicurati nell’accesso al consumo da chi si guadagni il ruolo di decidere.

Se nel secondo dopo guerra e fino agli anni ‘80 essere individui liberi ha significato, almeno da noi, essere individui che partecipano su un piano di uguaglianza formale e sostanziale al processo decisionale (ovvero alla gestione del potere pubblico) oggi e ormai da un bel po’ di anni, l’individuo si percepisce “libero” quando ha accesso ai consumi ed è rassicurato dal potere pubblico (ma anche dai surrogati privati) nel perdurare di questo accesso. 

Partecipare in prima persona al processo decisionale, cioè alla gestione del potere pubblico, è diventato troppo faticoso, noioso, pericoloso, soprattutto se questa partecipazione è gestita attraverso la tecnologia della democrazia rappresentativa, lontanissima ormai dalla istantaneità e dall’individualizzazione esasperata cui ci stanno abituando i nuovi media. Piuttosto che “partecipare su un piano di uguaglianza al processo decisionale”, si preferisce affidarsi a chi pare garantire il più tranquillo accesso al consumo. 

Involuzione, certo, perché è un modello che riporta alla centralità dei “giri giusti”, dei clan di appartenenza, delle clientele. E’ una involuzione purtroppo tutta funzionale al modo mafioso di stare al Mondo. Ma è una involuzione culturale, dilagata, non dilagante.

Come si ri-accende il desiderio di “partecipare su un piano di uguaglianza formale e sostanziale al processo decisionale”, senza aspettare un prossimo trauma collettivo (che normalmente prende la forma della guerra) per recuperare alla coscienza il rapporto tra sicurezza personale e partecipazione democratica?

Questo è il problema che più mi assilla.

Perché senza intervenire efficacemente sul piano del “desiderio collettivo” (e al netto di quegli inciampi che possono sempre accadere) io credo che tutto andrà come è stato programmato che vada. La liquidazione della democrazia parlamentare e la radicale semplificazione del processo di partecipazione-decisione, per altro fatta guidare alla “sinistra” (come nei migliori copioni), sarà irrefrenabile.

Molto in realtà si sta muovendo in tal senso, ma è la forza che difetta.

Io credo che il lavoro sul “desiderio collettivo” abbia migliori possibilità quando riesca a definire sfide che abbiano a che fare con il “non ancora”, con il futuro da scrivere. Questo tipo di sfida ha un grande merito, quello di attivare le energie dei giovani, di chi cioè ha il massimo interesse a scrivere il “non ancora”, a conquistare il futuro, impastando di realtà i propri sogni.

Io credo che questo grande e appassionante lavoro possa avere almeno due inneschi:

– la battaglia per la pubblicizzazione globale delle risorse fondamentali. L’Europa l’abbiamo edificata mettendo in comune l’acciaio e il carbone, con ciò disinnescando la ragione del contendere tra Germania e Francia. Dobbiamo costruire un Mondo capace di mettere in comune l’acqua, l’aria, le energie, la sicurezza. In questo saranno decisive l’autorevolezza e la forza che sapremo dare all’ONU.

– la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, come soggetto politico, democratico, continentale, capace di lavorare alla cooperazione globale e capace di dare un senso accettabile alla relativizzazione delle architetture democratiche nazionali. 

con gratitudine e stima

Davide Mattiello